UOMO - Anno III - n. 3 - settembre 1945

62 insofferenti, che cerchiamo di evadere attra– verso gli spiragli delle illusioni e delle am– bizioni, con il soccorso delle menzogne, del– l'ipocrisia, della diplomazia. Abbiamo volu– to fare da noi e il bilancio opprime, troppo abbiamo arrischiato sulle nostre capacità, sulle nostre possibilità. Apriamo Leopardi : « Noi che non riconosciamo nè fortuna, nè destino, nè forza alcuna di necessità personi– ficata che ci costringa, non abbiamo altra per– sona da rivolger l'odio e il furore (se siamo magnanimi e costanti e incapaci di cedere) fuori di noi stessi; e quindi concepiamo con– tro la nostra persona un odio veramente mi– cidiale, come del più feroce e capitale nemico, e ci compiaciamo nell'idea della morte volon– taria, dello strazio di noi stessi, della mede– sima infelicità che ci opprime, e che arrivia– mo a desiderarci anche maggiore ... ». Parlare cli Moravia diviene facilmente un impegno su di noi, su alcune prove delle ul– time generazioni, dei mali che hanno offu– scato le coscienze e intorbidato i cuori. Tanto che si vorrebbe avere prudenza e il primo coraggio sembra subito invischiarsi nella re– ticenza, nell'ambiguità. E' infine ancora una diffidenza della critica che arresta i nostri tentativi di lettura e di discorso (Flaubert scriveva in una sua lettera che la critica è una triste cosa, affondare nella scienza per toccare la vanità, analizzare il cuore per ri– dursi all'egoismo, e comprendere il mondo

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