UOMO - Anno II - n. 3 - giugno 1944

54 za viene interpretata ed organizzata; così esi– stono degli errori del senso, ma solo in quanto noi domandiamo al senso ciò che non può da– re, o gli attribuiamo quello che non ha. Senso ed esperienza sono, insomma, come le passioni umane, che costituiscono la felicità, oppure l'in– felicità, non per se stesse, ma solo in quanto l'uomo le vive, o non le vive, in un certo ordine spirituale. Certamente, però, non appena l'esperienza si presenta come un fatto, l'intelletto la persegue, per così dire, per misurarne l'entità. Appunto perchè l'intelletto intuisce immediatamente ed originariamente l'essere, esso si volge natural– mente all'esperienza, poichè l'esperienza, come fatto, è un essere. Ma tosto si stabilisce una sproporzione im– mensa fra l'essere indeterminato ed universale, che l'intelletto intuisce, e quell'essere particolare e determinato, che si manifesta nell'esperienza. Questa sproporzione si presenta nel pensiero di Rosmini; n1a, in sostanza, si presenta in ogni sistema: è il problema dell'essere come realtà finita e dell'essere come infinita idea, essenziale ad ogni filosofia, da Parmenide a Spinoza, da Eraclito ad Hegel; ed è anche un problema che si può intuire come dramma spirituale dal ge– nio poetico: Leopardi, ad esempio, sceglie l'in– finito ideale, anche se è un nulla, poichè l'esi– stenza reale si sconta sempre con un limite ed un termine. Per risolvere od eliminare radicalmente una

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