UOMO - Anno II - n. 2 - aprile 1944

nostra scrittura sono cli fetti della nostra anima e che il nostro non saper narrare ne è la punizione. Ci è difficile far procedere insieme i personaggi 1 i fatti, i sentimenti; ci è difficile analizzare senza uccidere, essere fantastici senza essere astratti; e oramai diffidiamo del nostro stesso stile. La scrittura è divenuta una peripezia ideale che non ha più nu11a a che fare con le peripezie rea– li: ora le nostre parole hanno il peso che avreb– be il Milione scritto in una cella. Sempre più in– corporei1 sempre più asceti 1 sofferenti di immagi– nari incendi, egoisti esclusivi, puniti da Dio imme– diatamente, coll'averci tolto la capacità di creare, la prima che ci fu data; vogliamo illudercene cari– candoci di problemi, finchè ce ne accorgiamo, e siam presi da paura : è un tempo di paure, que– sto. Eppure? Ancora 11011 ci siam liberati dalla tentazione di far di questa paura un'ultima « gran– de avventura ideale>>, la nostra « via di Damasco», la nostra « imitatio Christi », prendendo i nostri vizi per espiazioni. Che cosa direbbe la l\fansfield di noi? Quelle ve– rità che Dio << nasconde ai savi e agli intendenti e ri,·cla ai piccoli fanciulli»: ad alcuni direbbe, come scriveva alla Woolf: « voi scrivete diabolicamente bene»; ed a tutti direbbe, come scrisse per tutti: << l'amore scaccia il timore>>. LISt\ PONTI 43

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