Terza Generazione - anno I - n. 2 - novembre 1953

soltanto per colui che pecca con arrogan– te consapevolezza, ma anche per colui che ha la sola colpa di aver ignorato l'esisten– za degli dèi e del mondo in cui vive. Se un uomo che possiede questa tragica coscienza del destino dovrà accostarsi non al fuoco, ma a un'altra espressione di quel potere che è all'origine di tutta la realtà, come la scissione dell'atomo, egli non po– trà farlo senza timore e sgomento. Non potrà quindi inoltrarsi ciecamente dove gli angeli temono di posare i piedi, a meno che non sia preparato ad accettare lo stes– so castigo degli angeli caduti. Ma non po– trà neppure affidare con coscienza tran– quilla alla macchina fatta a sua immagine la responsabilità della scelta fra il bene e il male, senza continuare a subire le con– seguenze di questa scelta. Ho già detto che per quanto l'uomo mo– derno, e in specie l'americano, conosca preziosi accorgimenti tecnici, ha ben poca coscienza di ciò che vuole. Egli accetterà perciò la superiore abilità delle decisioni prese dalla macchina, senza preoccuparsi eccessivamente dei motivi e dei · princìpi che sono dietro di esse. Così facendo si troverà prima o poi nella posizione di quel personaggio del The Monkey's Paw (La zatnpa della scimmia) di W. W. Jacobs, che, dopo aver tanto desiderato cento ster– line, si trovò alla porta un agente della società presso la quale lavorava suo figlio che gli offriva cento sterline, come indenni– tà per l'infortunio di cui era rimasto vit– tima il figlio durante il lavoro. Oppure po– trà trovarsi nella situazione del pescatore arabo delle Mille e una notte, che spezzò il sigillo di Salomone sul tappo della bot– tiglia in cui dormiva il collerico genio. Non dimentichiamo che esistono gioca- . tori meccanici di scacchi che potrebbero avere gli stessi poteri sia del talismano de– scritto da J acobs sia del genio in bottiglia delle A1ille e una notte. Qualsiasi macchi– na costruita per indicare delle decisioni, se non possiede la facoltà di imparare, agirà sempre in conformità di uno schema mec– canico. Guai a noi se la lasceremo decidere della nostra condotta senza aver prima stu– diato le leggi che governano il suo com– portamento, e senza sapere con certezza che questo comportamento sarà basato su prin– cìpi che noi possiamo accettare! D'altra parte, come il genietto della bottiglia) la macchina che può imparare e può pren– der~ decisioni sulla base di tale conoscen– za acquisita~ non sarà in alcun modo ob– bligata a decidere nello stesso senso in cui B1olioteca Gino Bian.co avremo deciso noi stessi, o per lo meno 1n modo a noi accettabile. Per colui che non avrà coscienza di ciò, addossare il proble– ma della propria responsabilità alla mac– china (sia che questa possa apprendere op– pure no) vorrà dire affidare la propria re– sponsabilità al vento e v~dersela tornare indietro fra i turbini della tempesta. Ho parlato di macchine, ma non soltan– to di macchine che possiedono cervelli di . ottone e muscoli di ferro. Allorchè le per- - sone umane sono organizzate nel sistema che li impiega non secondo le loro piene facoltà di esseri umani responsabili, ma co– me altrettanti ingranaggi, leve e connessio– ni, non ha molta importanza il fatto che la loro materia prima sia costituita da car– ne e da sangue. Ciò che è usato come un elemento in una macchina, è un elemento della macchina. Sia che noi affidiamo le nostre decisioni a macchine di metallo o a quelle macchine viventi che sono gli uffici, i grandi laboratori, gli eserciti o le società industriali, non avremo mai la risposta giu– sta alle nostre domande a meno di non porre le domande giuste. Il talismano di Jacobs, la zampa di scimmia di pelle e os– sa, è fatale quanto qualsiasi macchina co– struita in acciaio e in ferro. Il genietto che standardizza le forme di linguaggio in un grande complesso industriale è altrettanto temibile di qualsiasi consacrato giuoco di prestigio. Il tempo stringe e l'ora della scelta fra il bene e il male è ormai imminente ... Che cosa faremo dunque? La nostra no– stalgia per la « vita semplice » risale al– l'epoca precedente i successi della rivolu– zione industriale, ma essa non deve oscu– rare il fatto che noi non siamo liberi di ri– tornare al nostro stato primitivo. Il pro– gresso industriale ha ipotecato il nostro fu– turo. Il modo per sopravvivere non deve es– sere ricercato nel passato. I nostri nonni hanno gustato il frutto dell'albero della scienza, e anche se questo frutto ha oggi un sapore amaro per le nostre bocche, l'angelo dalla spada fiammeggiante è or– mai dietro di noi. Dobbiamo continuare a inventare nuove tecniche e a guadagnarci il pane non soltanto con il sudore dei no– stri muscoli, ma con il metabolismo del nostro cervello. Si può pensare che lo sviluppo delle in– venzioni da sporadica manifestazione di ingegnosità a tecnica complessa e univer– sale sia stato risolto dall'attività dei grandi laboratori industriali e dall'impiego di squadre di ricercatori che lavorano siste– maticamente. Ma non è così. Per quanto il grande laboratorio possa essere prezioso, esso è lo strumento più efficace nel pro– cesso di sviluppo delle idee già aperte alla verifica, ma anche lo strumento più inutile e meno economico per concepire nuove idee. Il fatto che esso nel corso della guer– ra abbia svolto una funzione così impor– tante, dipendeva dalla nostra disponibilità di enormi potenziali di scienza passata non ancora applicati ai fini pratici. Ma ormai questi pott:nziali cominciano ad esaurirsi. Per sostituirli noi abbiamo bisogno di un pensiero che realmente unifichi le diverse scienze, di un gruppo di uomini profonda– mente specializzati nel proprio campo ma che possiedano anche una adeguata com- , petenza nei campi contigui. No, la quantità non è sufficiente. Dob– biamo coltivare la fertilità del pensiero co– me abbiamo coltivato l'efficienza dell'am– ministrazione. Dobbiamo trovare un mec– canismo grazie al quale un'invenzione d'in– teresse pubblico possa essere effettivamente sfruttata nell'interesse pubblico. Non pos– siamo permetterci il lusso di esaurire i cer– velli della nazione come abbiamo esaurito le risorse del suolo. Non dobbiamo ridurci alla condizione di schiavi, iscritti come proprietà nei registri dei nostri imprendi– tori. Dobbiamo creare un sistema in cui l'adattabilità e la variabilità siano in fun– zione del miglioramento. Abbiamo bisogno di una organizzazione che sia attenta alle nuove invenzioni e alla nostra sempre cre– scente necessità di nuovi ritrovati. Se l'uo– mo deve continuare ad esistere, non deve più essere considerato meno importante de– gli affari. Il fatto che un tentativo di otte– nere ciò sia rappresentato dal totalitarismo russo, non vuol dire che questi problemi non dovranno più porsi: se noi non li · ri– solveremo periremo come individui e co– me razza. Dateci la libertà <li guardare ai fatti dell'esperienza come essi sono! Noi non speriamo che la razza sopravviva per l'eternità, co111enon speriamo di sopravvi– vere per l'eternità noi stessi. Tuttavia pos– siamo sperare che tanto gli individui che la razza vivano abbastanza a lungo affinchè ciascuno possa pienamente sviluppare la potenzialità che racchiude in sè. NoRBERT W1ENER da Introduzione alla c,ibernetica, traci. ital. di Dario Pers'iani, Edizioni Scientifiche Einaudi, Torino 1953.

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