Terza Generazione - anno I - n. 2 - novembre 1953

C'era una cosa che non avevo 1 capito de I vitelloni. &I era perchè mai alcune persone po- 1 tessero definirlo un film vol– t gare. Senonchè, come poi mi è sta– to spiegato, (magari forse non proprio in questi termini) è volgare, indelicato, una « cosa che non si fa », mettere in piaz– za l'intimo della gente, una vol– ta che sj sia stati capaci di comprenderlo. E c'è un po' di vitellone in tanti di noi: in tutti quelli, di città e di provincia, che si accontentano di passare l'autunno aspettando la saison invernale e la primavera la saison d'été; salvo poi a riem– pire l'intervallo tra le due aspettative pensando di pren– dere qualche treno: e finendo col prendere a calci la prima latta vuota che ci si trova tra i piedi. Tanto per fare qualcosa. Però, tutto questo è spiace– vole sentirselo dire; mentre di– venta molto piacevole, diver– tente anzi, se si pensa che chi lo dice sta parlando degli al– tri, non di noi. Il fatto è che I vitelloni è un po' più di un buon film: è un documentario così ben fatto da avvicinarsi pericolosa– mente all'esame di coscienza. Non c'è un racconto: potreb– be incominciare dove finisce; e dopo qualche tempo finireb– be di nuovo là dov'è incomin– ciato. Perchè in realtà, per ca– pire cosa quei ragazzi e quelle ragazze sono, cosa fanno e cosa faranno, davvero ogni situazio– ne vale l'altra. Tanto per fare qualcosa: è il loro motto, come la noia è il loro stato d'animo. Una noia diventata così pesante che in ogni caso rimuoverla costerebbe troppa fatica. Perciò, ci vuole coraggio per prendere quel treno; ma è il coraggio della disperazione, non dell' entusia– smo. E che questo debba essere il coraggio di un giovane è la cosa più triste della triste cro– naca del mondo dei vitelloni. LIA SIGNORELLI Credo sia errato considera– re, come da quasi l'unanimità della critica è stato fatto, I vitelloni come un film sui giovani perditempo della pro– vincia italiana. A una attenta os– servazione del film, il « vitel– lonismo > non è esclusivo dei giovani, dell'ambiente maschile in particolare. E' un « atteggia– mento > provinciale (almeno di quella provincia che il film ci presenta, benchè in proposi– to ci sia da discutere) presente non solo nell'ambiente giova– nile femminile (concorso per l'elezione della miss; discorsi fra le ragazze come questo: « ora t! darai al cinema» ecc.) ma anche in quello degli adul– ti. Che altro non è se non una « vitellona > la madre di San– drina che per tutto il film non ripete che una frase « la mia bambina, la mia bambina »? MARISA FRANCHI e quella di un << vitellone >J A noi il film sui vitelloni non è piaciuto. Innanzi tutto ,, ' ,, f non ce trama: s1 ce un urto, ma senza conseguenze, poi tutti si aspettano un suicidio, ma non si capisce bene il perchè, in– vece non succede niente. Sperano che quando Fausto incontra sulla spiaggia la sco– nosciuta signora del cinema, in un momento di sconforto, tra– scinato dalla passione, fugga con lei. Allora si sarebbe giu– stificata la tragedia. Moraldo l'avrebbe inseguito: ne sarebbe nato un duello o, per restare in un film casalingo, una scaz- . zottata. Meglio di niente. Alberto Sordi fa ridere. E' bravo. Qualche volta esagera, come quando è ubriaco: lo fa molto bene, ma dà un po' fa– stidio. Mi dicono che il film era fatto per sfottere noi giovani di provincia. Secondo me non ci sono riu– sciti, perchè non hanno saputo guardare bene. Non è vero che noi ci annoiamo: tutt'altro. An– diamo a ballare, facciamo del– le cenette, organizziamo degli scherzi di cui si parla per un anno e poi con la macchina un giorno .si parte, e via, andia– mo alla rivista o a vedere la partita di calcio. In certe cose siamo più organizzati dei gio– vani di città . Se veramente lo scopo era quello, non è riuscito. Infatti il film è noioso e non capisco perchè abbia fatto tanto chiasso. ANTONIO MEu ccI BibliotecaGino Bianco

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