Terza Generazione - anno I - n. 1 - ottobre 1953

tà di lingua e come il Piemonte, che fu per molto tempo nell'ambito della cultura francese. Vi è dunque nelle masse italiane un fon– do comune un comune atteggiamento di ·vita più a:centuato nelle zone centrali e più debole in quelle periferiche, caratte– rizzato proprio dalla tendenza ad accetta– re la coesistenza di sistemi di vita contrap– posti e ad assicurare la migliore comunica– zione tra essi. E non è tanto strana la fa– ziosità che ogni tanto irrompe nella :it:1 italiana quanto il fatto che essa non eluni– na il contrasto per cui nasce. Tolleranza e parzialita sono le due facce della stessa me– daglia italiana. Uno sguardo alle masse ci aiuta a com– prendere la storia scritta convulsamente dalla élite. La vera vita italiana è la vita del popolo. Il distacco delle minoranze dal– le masse e tutto il dramma della nostra sto– ria sono dovuti all'allontanamento delle prime dalla vera sorgente della ~i_ta na– zionale. Le élites sono responsabili: esse hanno scelto destini diversi da quello na– zionale. Le cause di quello che si potrebbe chia– mare il tradimento delle minoranze po– trebbero essere diverse. Non la passione medievale per i princìpi universali, giacchè Papato e Impero erano ancora realtà ben vive, destini vitali nella terra italiana. For– se il fatto che non ci si accorse più tardi che dalla sfera universale le due istituzioni stavano cadendo nella sfera dei rapporti in– ternazionali: il Papato ridotto a contrasta– re i tentativi egemonici di Venezia, come di qualunque altro Stato italiano, l'Impero, divenuto strumento di supremazia per la casa d'Asburgo. Gli Stati del Rinascimento ci presentano società esemplari sotto ogni · aspetto, la vita sociale non si esaurisce nel– la vicenda politica. Popolo e minoranza operano insieme. La stessa decadenza delle lettere, con la prevalenza nel '400 del lati– no umanistico se ci rivela i primi germi della separazione degli intellettuali dalla società, ci dimostra la decadenza di un'ar– te, allora nel generale analfabetismo forza– tamente minoritaria. Per contro il fiorire delle arti figurative produce delle opere che per quanto non siano anonime, sono indub– biamente popolari. Il mecenatismo, i prin– cipi dotti, lo stesso movimento del Savo– narola ci mostrano un mondo d'amplissi– ma circolazione. La nascita di nuove mera– vigliose individualità nel grembo popolare non fu dovuta a una singolare coinciden– za biologica, ma all'attrazione esercitata dalle minoranze sul popolo. Nella stessa epoca Lorenzo fu uomo di Stato e poeta, Enea Silvio papa e umanista, e di entrambi non si può dire che abbiano usurpato l'una o l'altra funzione. Il disinteresse politico che minoranze e masse affettarono nella Rinascenza, in una con le pressioni esterne determinarono il crollo del sistema italiano. Tralascio al ri– guardo ogni ulteriore analisi. Importa solo rivelare che quanto più la cultura si svita– lizzò tanto più crebbero le pretensioni de– gli intellettuali, tanto più questi si amman– tarono di disprezzo per la vita popolare. Il volgo diventa l' « animale pazzo » di cui parla Guicciardini. La controriforma, la de- f3iblioteca Gino Bia -co cadenza politica inaridiscono la vita italia– na, che la crisi economica sconvolge e im– miserisce. « Nous conquerrons les ltalies » procla– ma Carlo VIII. Ma << Les ltalies » pur con– quistate conquistano il mondo. Con la Ri– nascenza le minoranze italiane parlano di nuovo al mondo. La decadenza dei tempi fa però scadere il discorso alla superficie. La missione dell'Italia nel mondo diventa cosmopolitismo. Le minoranze sentono l'in– sufficienza della società italiana, ma non vi pongono riparo, scelgono il mondo per tea– tro delle loro gesta. Ufficiali, statisti, intel– lettuali italiani servono gli stati stranieri; quelli che rimangono a casa, innamorati della « maniera », esaurite le mode pro– prie, copiano le altrui. Lo stesso Risorgi– mento non si sottrae a questo vizio della società minoritaria, e agli occhi del po– polo appare forse come l'ennesima novità forestiera. Non è detto altresì che per molti specie tra gli intellettuali il Risorgimento non appaia in effetti altro che creazione di una piattaforma di un cosmopolitismo di più ampia portata. A molte persone de– dite a parlare col mondo la nuova Italia sembra un ottimo altoparlante. In realtà, l'Italia è stata ascoltata dal mondo, non quando ha adottato travesti– menti esotici, prendendoli per cosmopoliti, ma quando ha detto cose che in apparenza riguardano lei sola. Dante, lamentando le sue questioni personali, ha scritto il poe– ma della Europa medioevale; il De Mo– narchia da lui diretto ai dotti del tempo, nella lingua in uso tra i dotti, non è letto che da pochi specialisti. Machiavelli propo– nendosi nella sua opera lo scopo di libe– rare il paese dagli stranieri, non riesce in tale intento, ma in compenso fonda la scienza politica. Le innumerevoli commedie e tragedie pseudoclassiche, scritte nel '600 e nel '700, non hanno passato non dicia– mo i confini, ma neppure la cinta daziaria della città di residenza degli autori; Arlec– chino, Brighella, Pulcinella, la malfamata commedia dell'Arte, hanno dominato i pal– coscenici di tutto il mondo. Ai nostri gior– ni, tante celebrità letterarie, convalidate dai vari premi Viareggio, sono tali quasi solo per i critici mentre il Don Camillo di Gua– reschi, scritto nella lingua pa·rlata, popola– to da figure e situazioni e difetti tipicamen– te italiani, batte ogni primato nelle ven– dite, dalla Germania agli Stati Uniti. Del resto nulla è più indicativo del neo– realismo cinematografico che trionfa nel mondo, quando evoca personaggi e am– bienti nazionali, ma fallisce clamorosamen– te (Rossellini insegni!) quando tenta di affrontare problemi astratti e situazioni psi– cologiche complesse. In effetti, il mondo non attende da noi la pubblicità del cosmo– politismo o dell'europeismo, ma solo un linguaggio italiano. Il mondo, più di quan– to si creda, capisce il buon italiano, e non il cattivo inglese o il cattivo francese, quan– to poi all'esperanto è noto che non lo sa nessuno. In verità l'autentico prodotto ita– liano in quanto tale e solo in quanto tale vale per tutti. Il fatto che si sia affermato in un ambiente di così varia convivenza come il nostro lo rende adatto agli altri climi. Fissato attraverso questi pochi cenni il processo storico di snazionalizzazione delle minoranze, soprattutto in relazione al gruppo intellettuale, veniamo all'esame del problema sociale odierno. Esso è complica– to dalla sussistenza di un altro pericolo: quella crisi mondiale sulla cui diagnosi e sulle cui componenti si sono sbizzarriti tan– to uomini egregi, da Spengler a Huizinga. Dunque: crisi mondiale e crisi nazionale. Tra esse si è stabilita una connessione più che per le passioni cosmopolite delle mi– noranze, per la trasformazione cui è at– tualmente esposto il modo di vivere· delle masse. Per secoli il popolo ha vissuto in manie– ra più o meno immutata, assente dalla sto– ria. La formazione dello stato unitario ita– liano ha iniziato il processo di modifica– zione, che in seguito all'intervento d'altri fattori si è andato sempre più accelerando. Il servizio militare, la diffusione dell'istru– zione elementare, la trasformazione indu– striale, l'emigrazione hanno modificato i modi di vita, molto meno in superficie di quanto si pensi. E' sopravvenuta poi l'inva– sione straniera che oltre a risvegliare at– teggiamenti, sia nelle minoranze che nelle masse, in linea con tradizioni che si pensa– vano o perlomeno si auspicavano sepolte da un pezzo, ha propagandato forme di vita già diffuse dal cinema e dai ricordi degli emigrati. Comunque vari indizi per– mettono sperare nella capacità di assorbi– mento delle masse. Invece l'attuale congiuntura ha effettiva– mente esasperato gli elementi negativi del– la vita italiana: il particolarismo delle mi– noranze e l'assenza delle masse come enti– tà non numerica. Di fronte alla gravità di questo fatto non sembrano pericolose cer– te accentuazioni del carattere italiano, la persistenza dell'ostentazione, la convinzione confermata da un certo scetticismo religioso che dopotutto l'abito fa il monaco, l'esten– dersi sia al settentrione di una certa stra– fottenza che nel sud è superiorità vera, ma al nord diviene arroganza e mancanza di serietà. Tanto più che si può citare, per contro, l'abolizione di molti tramiti delle relazioni sociali che ha emancipato la vita italiana dal formalismo, dando un certo sfogo alla vivacità del temperamento, sem– plificando la convivenza e permettendo sen– za crisi di adattamento l'inserzio~ne della donna nella vita pubblica. E' indubbio però che larghi strati popo– lari, sia nella città che nelle campagne, so– prattutto in queste, tendono ad america– nizzarsi. Si profila il pericolo che a delle minoranze snazionalizzate si affianchino delle masse snazionalizzate. Il fenomeno italo-americano insegni: le masse emigrate si sono snazionalizzate e americanizzate nella maniera peggiore. Molte zone d'Ita– lia possono dare origine, questa volta al– l'interno a un fenomeno analogo. La con– vivenza italiana potrebbe conservare i suoi caratteri secolari ma l'illanguidimento e la sterilità diventerebbero cronici: e la riso– luzione della crisi mondiale in dimensioni umane non meccaniche forse verrebbe pre– giudicata irrimediabilmente. La nazionaliz– zazione delle minoranze è dunque urgente. LUDOVICO INCISA

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