Terza Generazione - anno I - n. 1 - ottobre 1953

ta im prgnata., con uno sgua,rdo aprrto sì ''alla realtà inimedia– ta", alle cose e alla storia de– gli uomini, ma continuamente accompagnato dal "riserbo professionale, artigiano, uma– nistico". Così non gli sfuggi– rono i punti nodali che lo le– gaPano alla generazione pre– cedr'nte, alle sue voci poetiche e allr sue teoriche, dalla "Ron– da'' a "Solaria"; capì e spe– rinien tò l'illusione naturali– stica insita nella formula del 1·ealismo. Almeno la ricchezza e il rigore della sua ,umanità gli fecero intravvedere con esattezza i termini del proble– ma. E l'ansia tragica della sua parola rimane il segno della sua, esperienza -umana. L'accenno a Pavese può per– nzettere di aprire ,un discorso analogo per la narratitva con– temporanea. Se fino al nostro secolo tale fornia d'arte ave– va sir,nificato un'enorme capa– cità di acquisto in fatto di con– tenuti e di sensibilità umana, di universale portata - baste– rebbe citare Dickens, Dosto– jevski, .31anzoni, Balzac-, og– gi assfatiarno ad un costante fenomeno di perdita: un con– tin·uo df'crescendo di interessi e vis,uali, verso una narrativa che non riferisce più la per– n1anente ricchezza creativa dell'uomo C'he opera nella sto– ria, ma tende ad enumerare una serie di situazioni, in cui il 8in gol o è distrutto da una sua aridità sostanziale. Si ri– cordi il mondo chiu8o e a to– no 1,nico delle esperienze dei personaggi di Kafka, la deso– lata società americana di H e– mingway; o i bozzetti novei– listici e i quadri di mestiere e di genere, moralistici o 8enti– menta li, a cui si ispira Za maggior parte della narrativa italiana. E questo pur rispet– tando i nostri scrittori miglio– ri, da Alvaro a Pratolini a :Jf oravia. E si rifletta quanto può essere significativo l'itine– rario di Vittorini, che dalla ricchezza fantastica e umana dei primi libri, è giunto, nei– l'intenzione ( e nell'illusione) di .~tringere piiì da vicino la realtà, a schematizzare la per– sona in un emblema o simbo– lo automatico (vedi il nonno– elefante del Sempione). Teoriche, o piuttosto dispo- 81z1oni e atteggiamenti esi– .<;tenzialistici e realistici, con– d ur'oito per diverse direzioni al niedesimo rifiuto di accetta– re la vita e la vita d'oggi, la storia, nei suoi termini veri; e di qu,i la fuga impossibile ver- 80 eldoradi, che non co.~tituisce ovviament~ una conquista, ma una dimvnuzione massima d,i contenuti e sensibilità ·umane; oppure, nei più consapevoli, all'aC'ccttazione passiva e to– tale, senza scampo, quasi sen– za 1:oce, d'una realtà su bìta (e non più, conquistata) come una sofferenza da durare. Il risultato è egualmente rivolto alla fine della parola: negli uni la parola non ha più veri– tà e diventa gioco; negli altri, il disperato tentativo di par– lare per dire che non si han– no più parole, chiude in un circolo senza uscita che non può non esaurirsi presto. In questa rinuncia o in questo isolamento dalle esigenze e dal desiderio di costruire la vita, di uscire dalla crisi nella spe– ranza e nella pace, sta l' "iso– lamento" del poeta, oggi; qu,i veramente lo sentiamo di– stante. Crediamo dunque che vada innanzitutto presa coscienza di quest'isolamento, e vada risolto non nella rivendicazione della indiriduale libertà del poeta, non nell'irtsta·urazione di un suo q11alsiasi indistinto rap– porto con la società. Bisogna cercare e trovare termini più veri, più umanamente e uni– versalmente veri. E allora ap– parirà se non la soluzione, il motivo vero di questa impos– sibilità a procedere. Ora que– sta scopert1.1,ra tocca la poesia in se stessa. La poesia che si presenta e non può essere in– tesa se non come massimo pun– to in cui all'uomo sia conces– so scoprire, liberare ed espri– mere 1 e proprie condizioni, gli atteggiamenti, i desideri, le angoscie e le speranze: la poe– sia insomma come massimo di umanità. Non possiamo non assegnare alla poesia una fun– zione centrale nelle cose del– l'uomo, perchè in essa l'uomo "vede", e comunica questa vi– sione a t1tfti e per tutti. Non si fraintenda, non vogliamo dare definizioni sulla poesia, non vogliamo iniziare un di– battito sull'estetica e tanto me– no proporre un'estetica. Vo– gliamo dire che nella poe.~ia è massimamente presente l'intui– zione e la visione dell'uma– nità e ehe il lavoro poetico non p1tò P-11.tdere tale riferi– mento, tale riclt iamo: la par– tecipazione all'essere, come Baget diC'e nella sua lettera, che storiramente l'umanità riesce a realizzare, dando vo– ce, per tutti, a questa parteci– pazione. Il poeta oggi sbaglia, si di– C'eva, verchè privo di tale for– za morale di "vedere" per tut– ti, perchè costretto in formule polemiche; ma in certo modo Efiblioteca Gino Bianco non pu.ò cj1e sbagliare: anche qui ha significato preciso, cioè storico, il suo isolamento. Il poeta infatti, per la caratteri– stira della poesia e del suo la– t'oro s1, lla parola, avverte il C'aos, la divisione, l'impos8ibi– l ità del no.stro vivere; lo av– verte e lo vive più di ogni al– tro; si sente per definizione immerso più di ogni altro nel– l'umanità esistente e più si ri– bella in 11,i il desiderio di tt,na umanità vera e di parole libe– ratrici. Più sente il distacco tra il suo desiderio e l'esisten– te; e gli è impossibile esprime– re in termini universaU di conquista armonica e compren– siva una 11manità che lo so– vrasta caotica e divisa. Po– tremmo dire, ancora una volta con 11n paradosso, che in una sit1,azione come la nostra, il poeta muore, che le, parola fi– nisce. Ecco, ancora, il motivo– vero del suo isolamento. E quindi le parole povere e de– serte che tenta, e che non toc– cano in profondità gli uomini, e il suo difendersi dall'esclu– sione della società in "élites" chiu8e e conformiste; e il suo lavoro non più considerato la– voro, le sue proposte non più cose vere, ma solo dilettabili. Potremmo chiamare l'arte di oggi, allora. piccola, insignifi– C'an te, ingiusta a sè e agli al– tri, disperata 1 Evidentemente, in questo ca– so, peccheremmo di presunzio– ne, o in ogni modo, attraverso l'accu8a di pregiudizi contenu– tistici, le faremmo violenza. Saremmo dalla parte di coloro che proclamano Vimperativo dell'arte marxista o sociale, cristiana o moralista. Sarem– mo da qualche parte. e non là dove l'arte deve essere discus– sa in sè, nflle sue proprie ori– gini, nelle cause dei sentimen– ti e degli aspetti umani predo– ,minanti, r'he la fanno oggi es– ,'lere di 1,na data o di u,n'altra dimensione (se ci si vuole pro– var<' in paragoni valutativi con altri tempi) e più propriamen– te di una data o di un'altra natura. E' chiaro ehe se 'U,na mani– f est azione d'arte c'è, questa va accettata, e forse va acC'ettata senza limiti e senza paragoni. Ed è chiaro, anche .~e il senso univf'rsale di oggi può essere ,'loltanto l': "Oggi sappiamo soltanto ciò che non siamo e ciò che non vogliamo" di 'ltf on– ta le. Ed è soltanto questo sen– so predominante che vorrem– mo anC'or più vagliare e di,'lcu– tere, e l'argomento che vorrem– mo proporci e, in qualche mo– do, superare. Quanto abbiamo tentato di dire non r11ole essere un ca– pitolo di critira letteraria, vuo– le solo ai'utare la nostra co– scienza di 1,omini int<'ressati alla poe8ia, vuole aprire 11n rapporto con voi. Perchè ci pa– re <'Videntc quanto il lavoro del poeta sia conforn1e al 1 i;o– stro lauoro e alle vostre aspi– razioni: alla scopertura delle più vere esigenze umane e del– le speranze, alla ricerca di un modello umano fuori dello sgretolamento. Proprio per questa natura e funzione del– la poesia e del poeta, per q,ue– sta sua capacità di "visione" intuiti'l.'a <' umanamente comu– nicabile delle condizioni di og– gi. Oggi inver<' la poesia è n1essa da parte, è misconosciu– ta nella sua 'l'era portata e l'uomo 8tesso ne viene impove– rito nella sua C'apacità di com– prendere ed esprimere la vita. AI a il poeta e il critico non usciranno dalle divi.~ioni che si riducono e si esplicano nel preziosismo tragico della sua solitudine di individuo o nel richiamo di 1,na indistinta so– cialità, per dare a8colto o da– re voce alle cose vere di tutti, se alla verità di tutti non si accosteranno: e per questo è loro utile il 1,ostro sforzo su Terza Generazione : perchè è il sr.nso dell'1,m ano ehe biso– gna conquistare, la fiducia e la speranza, una attiva ric– chezza; allora si troveranno le · parole f'u.ori della divisione. Ohe non siano da abbandona– re le conquiste della poesia e delln critica moderna, la sua pure.zza e concentrazione, la raffinata e precisa attenzione alla parola, ci sembra ovvio; ma questa parola ci deve esse– la speranza, un'attiva t·ic– cliezza. deve saper riconqui– stare una pienezza che ha per– duto, dei·e farsi nel poeta an– che voce di speranza e di pa– ce per tutti. deve farsi nel cri– tiC'o attenzione e riflesso, nel– la parola, di tutta la problema– tica umana. Se la speranza e le sue parole .~ono oggi anco– ra vietate, è il rigore morale e il serio laPoro letterario, nel– l'esempio C'he va per,'leguito; perchè non si continui la fal– sità e la polemica, tna si cer– chino le aperture e le integra– zioni; 8i dica per tutti la pa– rola dell'uomo che ha almeno fiducia in .~è, nella sua creati– vità, nel suo lavoro, nel .<J1, desiderio di C'rescita. Gi pare che in questo senso una pre.~enza di poeti e di cri– tici su Terza Generazione, ab– bia un .~ignificato. CLAUDIO LEONARDI PIERO SPALLETTI

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