Terza Generazione - anno I - n. 1 - ottobre 1953

cemente presente nelle amministrazioni e di mantenere i voti dei ·contadini che, data la crisi cronica della mezzadria, glieli dànno senza difficoltà. Il partito comunista non ha avuto la possibilità di impostare organi- . . . ' camente 1 rapporti tra c1tta e campagna, o di portare il movimento contadino ~uori del rivendicazionismo a un livello diri– gente di organizzazione sociale. Le macine contadine si muovono, ma si muovono a vuoto; e in tutti i modi è un movimento del contado e non della città. In ogni caso il partito comunista rappresenta un ag– gancio a un filone nazionale, spesso buro– cratizzato, ma forse l'unico. Gli altri partiti non si muovono nemmeno: i loro dirigenti spiegano ancora, nel 1953, la pressione comunista rulle campagne con l'intimidazione, cioè credono solo in un problema di polizia e riducono tutto alla funzionalità della tenenza dei carabinieri del paese. c) Giro per la città. Via di Città - con i suoi proseguimen– ti di Banchi di sopra e di via dei Monta– nini - svolge in certo modo la funzione di corso: i suoi raccordi col resto della cit– tà che sta più in basso sono stretti e ma– lagevoli tranne il raccordo con Banchi di sotto e via del Pantaneto, asse del terzo di S. Martino, e con via Camollia e via Ga– ribaldi verso la zona eccentrica della sta– zione. E' una strada avulsa dal resto della città che vive separato e stranamente si– lenzioso anche nelle contrade più popolari: ed è priva di quel tipo di eleganza osten– tata delle città di provincia dove esiste un minimo di sviluppo industriale. Con questi elementi costanti della situa– zione anche• la discussione sul futuro svi– luppo urbanistico di Siena rimane astratta: infatti è giusto ciò che Roberto Papini dice in un articolo apparso, salvo errore, sul Corriere della Sera del 22 settembre u. s.: costruire la nuova Siena accanto e non in– torno alla vecchia. Farla intorno è da esclu– dersi tra l'altro per due motivi: la difficol– tà di raccordi dei nuovi quartieri con i vec– chi, che rischierebbero di e~sere strozzati dai nuovi come successe a Firenze con i pia– ni di ampliamento del Poggi ( 1). Per di più è probabile che « costruire intorno > si– gnifichi riempire quelle vallette interme– die tra i crinali dei tre colli e interne alle mura, la più ampia delle quali sta tra il terzo di S. Martino e via di Fontanella. Ora queste vallette intramurane coltivate a orti misti ad olivi esplicano probabilmente a Siena la funzione di fornitrici di prodotti orticoli al mercato cittadino che altrove è garantita da un vasto cerchio di coltiva– zioni subito oltre la immediata periferia cittadina. Si sa che la vicinanza e la forte domanda del mercato rendono queste col– ture molto redditizie ed è da chiedersi se sia il caso di dissestarle in una città come Siena dove le possibilità di sviluppo eco– nomico sono tutt'altro che brillanti. Ma detto questo a favore dello sviluppo {(accanto », rimane aperto il grosso proble– ma di come garantire la vita a questi nuo– vi quartieri: saranno solo quartieri residen– ziali di impiegati o quartieri dove si pos- . . . ' sa sviluppare una vita economica p1u com- plessa? In questo caso non si vede, nella Biblioteca Gino Bianco --=--------= Generazioni davanti a una città L'inchiesta che abbia1no compiuto su Siena ha messo in evidenza che la storia e la civiltà di questo « campione storico > possono essere considerate in tre modi fon– damentali. Il primo modo di guardare Siena come tutta la realtà nazionale è quello di coloro che potremmo chiamare i « testimoni del passato ». Comprendiamo sotto questa defi– nizione quegli uomini formatisi all'inizio del secolo che hanno amato la storia del nostro paese o l'hanno studiata per quello che era, coi limiti culturali propri della lo– ro generazione; ma che tuttavia l'hanno compresa nei fatti oggettivamente conside– rati, anche se non li hanno potuti trascen– dere. Così «essi> hanno raggiunto una co– scienza molto precisa dei valori umani fon– damentali espressi dalla nostra storia. V i– sitando Siena essi compiono itinerari tutti diversi dai nostri: è difficile che si spinga– no nelle vie secondarie del «terzo> di San Martino. I loro percorsi si svolgono invece soprattutto, nel terzo di Città o poco al di fuori, tra il Campo, il Duomo e Palazzo Sa– limbeni. Essi considerano l'arte e l' « aspet– to medievale> della città e non è raro sen– tirli concludere, alla fine delle loro pere– grinazioni, che Siena è una città « viva >. Per noi che, come veJremo, giungiamo a conclusioni tutte diverse, è molto impor– tante capire come si forma questo giudizio. E' da chiarire che i «testimoni> guarda– no le cose con occhi tutti particolari: indi– pendentemente dalla cultura che hanno, gi– rano per le strade ricostruendo il passato, e le loro considerazioni riguardano « quell'in– crocio che sette secoli fa doveva essere tra i campi e non tra le case » oppure la pit– tu1·a di Duccio di Buoninsegna che, « muo– vendo dalla tradizione bizantina, dà linee nuove alla scuola senese sotto l'influsso dei miniaturisti benedettini arricchendola del contributo della civiltà della regione>. Il loro valore è duplice: in primo luogo e' è sempre l'assillo di capire la realtà e non di usarla e stirarla a proprio uso e consu– mo: la loro posizione è quella di uomini di fronte a un mondo oggettivo, che esi– ste di per sè, con cui sentono il dovere di integrarsi anche se non ne hanno i mezzi. Noi che, grosso modo, possia~o d~finirci i « giovani >. Dobbiamo subito rilevare una prima relazione che ci lega con l?ro: noi siamo stati sufficientemente scottati da varie esperienze, e oggi non ci fidi,amo mai di una speranza non razionale, n~n. siamo_ disposti a camminare senza un minimo di ipotesi di lavoro. In un "!o"!'ento . sto- rico in cui il nostro paese e immobile e non si apre nessuna via nè per altri nè pe~ noi, girare per Siena e vedere accumularsi sull'immobilità presente quella del passa– to, ci toglierebbe ogni speranza e ci P<;r.· rebbe in una pericolosa bancarotta spiri– tuale se non avessimo presenti le « testi– monianze silenziose> di cui abbiamo par– lato. Esse dunque in primo luogo ci aiu– tano e ci dànno fiducia per il solo fatto d,i, esistere. E ancora per la nostra stessa natura noi tentiamo le strade dell'avvenire. Ma per– chè noi si dia al nostro paese un avvenire e non delle mostruosità culturaU sono ne– cessarie due c'ose: che noi ci leghiamo alle nostre masse per la vita evitando il cosmo– potitismo di vertice e permettendo il ritro– vamento della funzione del nostro paese; e, sempre per lo stesso scopo, che noi s~ab– bia orecchie per sentire le mute testimo– nianze del passato perchè esse ci occorrono per non svolgere azione disgregatrice sulla vita nazionale. Confessiamo di aver fatto fatica a capi– re queste testimonianze, non perchè erano mute ma perchè non erano individuate. , . Le abbiamo per lungo tempo sentite frammiste a qualcosa di estraneo alla cul– tura nazionale e di sovrapposto ad essa; e ne abbiamo facilmente fatto tutt'uno. Una retorica malsana aveva posto salde radici e ha interpretato a suo modo lo stesso processo storico. La retorica delle « città del silenzio > si era interposta ed aveva falsato la considerazione oggettiva delle cose: essa constatava, o meglio accu– sava il silenzio e la morte di queste città, ma ;i si acquetava sopra soddisfatta di sen– tire solletico all'olfatto. Essi si trovano in una posizione assai lontana da quella dei testimoni del passato, che credono nella presenza del fuoco sotto la cenere e non nella morte. Ma il comune rivolgersi al passato, sia pure con occhi a versi, faceva sì che noi, che guardavamo al futuro, U unissimo in un solo gruppo e in una sola esperienza da rifiutare. In secondo luogo c'è sempre in loro la speranza: essi vivono in un'epoca di. con– traddizioni storiche, vedono burocratizzar– si ogni fede e ogni idea che apre una via verso l'avvenire; tuttavia essi testimoniano con i loro interessi e con i loro giudizi la speranza nel valore umano e 7:ell'avvenire del nostro Paese. Le loro prove sono per riferirsi al cam– pione che considerano: Duccio, Simone Martini il Vescovo e il Comune, l'espansio– ne ban;aria, le tavolette di Biccher~a e l~ bellezza del Campo. In sostanza essi sono 1 custodi delle speranze e delle possibilità della nostra ,Nazione « al di là delle paro– le che sono pronunciate e dei fatti che ac– cadono ». Attendono nn erede a cui affidare le speranze che vivono e testimoniano in silenzio: il loro silenzio, che ha tutto un senso, fa sì che sta a noi aprire il discorso. Solo più tardi abbiamo visto come una dichiarazione di morte per le nostre · città e per la nostra società è l'acquisizione tli un punto di partenza da cui rifare la vita; abbiamo anche capito che per evitare l'a– mericanizzazione e sviluppare in modo pro– prio la civiltà nazionale dobbiamo decifra– re le testimonianze sulla vitalità storica del nostro paese: per questo è pregiudiziale distinguere i vecchi testimoni dai vecchi dannunziani. Per parte nostra abbiamo compiuto la distinzione appena abbiamo individ1'ato le « parti> e l'abbiamo fatto anche violentemente: non ce ne pentiamo perchè è stata una immunizzazione utilis– sima. 11

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