La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 7 - settembre 1995

musica, la danza, ecc. Solo dopo avere compiuto un'esperienza ti chiedi: "Perché uso questo modo per comunicare?"; dopodiché, pensandoci un po', magari arrivi anche a capire qualcuno dei motivi per cui senti più naturale un certo linguaggio piuttosto che un altro. Ma all'inizio credo che sia una scelta istintiva. Il fatto poi che un mezzo sia poco frequentato, come può essere per il fumetto, è irrilevante: quando scegli non pensi a cose del genere. Non mi sembra che ci sia mai stata una vera tradizione italiana legata ai fumetti e ora, rispetto ad alcuni anni fa, la situazione è addirittura peggiorata. Non mi sorprende affatto che le riviste d'autox:e come "Comic Art" siano in crisi: la crisi era leggibile già all'inizio, nel progetto. Certo, mi dispiace per chi vi lavora, ma spero· che questo serva a far capire che è l'idea stessa di "rivista contenitore" che non funziona. I progetti dovrebbero essere più coraggiosi, dovrebbero avere la forza di proporre una linea, un'idea e non solo prendere materiale a caso, un po' qui e un po' là senza un criterio, tanto per assemblare la rivista. Sembra che gli editori meno commerciali, per sopravvivere, non riescano a fare niente di meglio che provare ad occupare sii . spazi editoriali lasciati liberi dagli editori di fumetti seriali. Cercano di imitare i supereroi americani o i personaggi dei manga giapponesi perché quel tipo di materiale vende abbastanza bene. Ma vende anche perché non c'è null'altro da comprare. In questo modo il cerchio si chiude: il panorama si riempie di disegnatoricloni che lavorano per editori-cloni che a loro volta ambiscono ad un pubblico-clone, in un circolo vizioso che, si mtuisce facilmente, è meglio cercare di interrompere. Io stimo molti fumettisti: quando ho cominciato a fare fumetti ho avuto la fortuna di stringere amicizia con Lorenzo Mattotti, che avevaappena pubblicato Il signor Spartaco sulle pagine d1"Alter Alter". Questo fumetto mi impressionò molto: era nuovo, mi affascinavaper i suoi colori, per la storia che raccontava. Era il fumetto che mi sarebbe piaciuto fare. Così, ogni volta che facevo qualcosa, la mostravo a Lorenzo e ascoltavo i suoi consigli. Poi lui iniziò l'esperienza con il gruppo di "Valvoline" ed ebbi modo di conoscere artisti come Daniele Brolli, Giorgio Carpinteri e Igort (che è il nome d'arte di Isor Tuveri), che già stimavo molto, e di vedere m prima persona quello che stavano creando e sperimentando. Questa esperienza è stata la mia vera formazione e ha inciso profondamente anche nel mio modo di disegnare e . raccontare una storia. Devo molto al lavoro di questi ragazzi, senza dubbio, specialmente a quello di Lorenzo Mattotti. Poi c1sono tanti altri disegnatori che amo: qui in Italia abbiamo Massimo Mattioli, Josè Muiioz (anche se dinascita è argentino) e, tra quelli della mia generazione, Francesca Ghermandi e Stefano Ricci, ai quali sono molto legata. Anche Stefano Tamburini mi piaceva moltissimo. All'estero, Tardi, Daniel Clowes e Ben Katchor. Non me la sento, invece, di esprimere giudizi circostanziati sul panorama culturale italiano. Credo che "emergere" sia una cosa difficile un po' per tutti. Io, poi, diffido per natura dei cosiddetti operatori culturali, e mi pare che la Biennale di Venezia sia emblematica in questo senso. "Aper'to", la manifestazione più interessante, l'unica dedicata ai giovani e per cui, secondo me, valesse la pena andare a Venezia, è stata soppressa per fare posto ad artisti celebrati ormai da decenni. E veniamo al mio Silent Blanket. Questa storia è nata nella mia testa la prima volta che sono andata a New York. Era febbraio o marzo, e nevicava spesso. Ero partita da sola e, di frequente, mi capitava di rimanere sola. Cercavo di girare la città più che potevo, ma non era molto facile perché faceva un freddo incredibile e, soprattutto, tirava un vento fortissimo che induceva a rintanarsi nelle ·propria abitazione e a uscirvi il meno possibile. Questo può sembrare un dato poco importante, ma ci sono già molti elementi della mia storia: la grande impressione che suscita vedere la neve a New York, gli esterni poco ospitali, la vita negli interni di locali {uoblici, ecc. Poi c'era i palazzo in cui mi ero sistemata che, a prima vista, pareva deserto, e che invece, particolarmente la sera, si riempiva dei rumori dei miei vicini (che io non vedevo mai). E ancora, la bellezza delle serate piene di luci ovattate, amplificate dal bianco della neve. Insomma, mi è sembrata una città allo stesso tempo dura e dolce, una città che voleva la tua attenzione, che ti risucchiava, una città vampira. Così ho cominciato a lavorare all'idea di una storia da ambientare a New York. Poi magari ha preso un'altra via, perché quando si lavora ad una storia, almeno per me, si parte da alcune suggestioni, forse sapendo dove si vuole arrivare, ma il percorso per giungervi può mutare direzione molto spesso. Certo è che per questa storia i punti di partenza sono stati New York e la sua capacità di esasperare, nel bene e nel male, la solitudine. Ora sto lavorando ad una nuova storia a fumetti, molto più lunga di Silent Blanket. Non so ancora come si intitolerà, ma posso dire che è in bianco e nero e che racconta la storia di un uomo e di una donna, ed è un po' come se fosse la rivincita sulla morte da parte di Paul, il protagonista di Silent Blanket, benché i personaggi, le situazioni e anche il disegno siano molto diversi. Sarà una storia molto "lenta" e cinematografica. Mi affascina molto, in questo momento, l'idea di sintetizzare il meno possibile le azioni dei personaggi, di raccontarle più con una sequenza di vignette che con una didascalia, come se i personaggi svolgessero ogni azione in un tempo "reale". E' una storia molto influenzata dai registi che amo di più, soprattutto David Lynch e Abel Ferrara. ♦ • SUOLEDI VENTO

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