La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 7 - settembre 1995

li. BF.LPAESE Pianeta scuola: gli insegnanti Marcello Ben/ante Io lascio in pace le questioni pedagogiche perché non sono in grado di suscitare l'orrore. Giampaolo Dossena, Abbasso la pedagogia. Non molto tempo fa, il celebre direttore di un importante quotidiano rispondeva, nella rubrica epistolare del suo supplemento settimanale, alle proteste di un lettore che lamentava la superficialità con cui venivano trattati, a suo parere, i problemi della scuola. La replica del direttore era impostata sul seguente pseudo-ragionamento: lui di scuola se ne intendeva eccome, perché in quanto direttore di un quotidiano doveva per forza occuparsene spesso, _e inoltre, in quanto padre, aveva seguito l'intero iter scolastico dei propri figli. Ecco quindi ritrovata la figura - che credevamo scomparsa - dell'intellettuale onnisciente. Il giornalista - e meglio ancora il direttore di un giornale - sa tutto di tutto, perché di tutto, per mestiere, si occupa. E nessuno può mettere in dubbio la sua professionalità. Soprattutto se è padre ( il che da esempio implica che, essendosi i figli di tanto in tanto ammalati, egli sa anche tutto di medicina e sanità). Il paradosso è che quel direttore (ma non solo lui, purtropp·o) ritiene di saperne di più in materia scolastica di chi proprio per professione la scuola la "fa", giorno per giorno. Non è un caso limite, un semplice delirio di onnipotenza. Anzi, è un vero e proprio luogo comune. Nessuno consulta mai gli insegnanti sui problemi della scuola. Forse perché gli insegnanti sono ritenuti piuttosto il - o almeno un - problema della scuola. Stupisce che questo accada in tempi in cui da ogni parte si guarda ai tecnici come la panacea di ogni problema. L'approccio al pianeta scuola è sovente farsesco e retorico. Clown triste da esporre al ludibrio o santo-eroe da consegnare al martirio di una vocazione masochista, il docente è comunque un alieno, un "div'crso" che nessuno prende sul scrio come lavoratore né tantomcno come "professionista". L'ultimo esempio è il film di Daniele Lucchetti liberamente tratto dai fortunati diari di Starnane. Vi troviamo docenti incanagliti, ~offamente repressivi e ambiziosi, pateticamente ignoranti, brutali e meschini, ai quali si contrappone l'idealismo stucchevole di casti sacerdoti laici, di cui uno talmente rincretinito dalla burocrazia didattica da inseguire gli alunni l'ultimo giorno di scuola per l'interrogazione finale! Quel che infastidisce non è la spietatezza del ritratto (che coglie aspetti reali), ma piuttosto lo schematismo manicheo, il ricorso a stereotipi grossolani, l'agrodolce retrogusto che scaturisce dal mescolarsi di un compiacimento denigratorio e di una stucchevole celebrazione. La corda satirica, già piuttosto vacua e inconsistente, viene sopraffatta da un umorismo facile, trivialmente scontato, macchiettistico, caricaturale, fatalmente qualunquistico. Ma in fondo anche lo Starnane di Ex cattedra non superava i limiti di un bozzemsmo sarcastico e disilluso. Per non parlare di operazioni squallidamente commerciali del tipo Io speriamo che me la cavo, intrise di aneddotica demagogica, di barzellettismo demenziale, di populismo pittoresco e insulso. L'umorismo scolastico ha sovente qualcosa di macabro, specie laddove si sforza di essere autoironico. Non meno insopportabile. d'altronde è la melensaggine dei Mr. Chips o Harris a cui volentieri diciamo addio, l'isteria degli inseguitori dell'attimo fuggente, il didascalismo sociologico di certo cinema americano alle prese con i problemi e i semi della gioventù bruciata e violenta (da ci deriva diritto diritto il Mery P.cr Sempre di Grimaldi e Risi), la sguaiatezza pacchiana di certa nostra commedia soft-erotica di ambientazione scolastica. Quando la scuola investe i mass-media o diventa bestsellcr raramente scampa alla mistificazione; forse l'unica seria eccezione resta l'esperienza nazional-popolarc del maestro Manzi). Ma anche il dibattito pedagogico interno al mondo della scuola è spesso pura e semplice ars dicatandi, oscuro didattichese, tecnicismo cavilloso, arido, supponente. La scuola che riflette su se stessa non sa produrre nella maggior parte dei casi che un sapere scolastico nel senso più consolante e denigratorio del termine. Viene voglia di tornare al pessimismo scabro e alla semplice pietà civile del diario scolastico che il riluttante maestro Sciascia redasse ne Le Parrocchie di Regalpetra . Ma oggi gli insegnanti sono al centro di un dibattito politico-culturale di grande portata che travalica le mura delle aule. Si sbandierano i successi di un contratto che finalmente introduce nell'opaco e sonnolento mondo della scuola il criterio dinamico della meritrocrazia. Saranno - si dice - premiati i capaci e i meritevoli, penalizzati gli abulici, gli impreparati, i demotivati. Posta in questi termini la questione trova un consenso pressoché generale. Trasformandola nella demagogia dei sondaggi suonerebbe così: ri- ~enctc che gli i~scgn~nti che si impegnano, s1 aggiornano, possiedono spiccate capacità professionali e intellettuali nonché un vasto bagaglio culturale debbano essere pagati e considerati come i loro colleghi assenteisti, ignoranti, incapaci, negligenti? La risposta non potrebbe essere che un coro indignato di no. Ma la domanda è ovviamente tendenziosa e il problema è ·impostato in un modo assolutamente errato. Valutare le capacità e l'operato di un insegnante è un'operazione estremamente difficile e delicata ~he P.orta. co~ sé un_aserie. di 1mplicaz1om assai gravi e complesse. Chiunque sia il soggetto giudicante (il preside, un ispettore, un comitato

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