La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 7 - settembre 1995

LACITTA' NAPOLI I SCAMPÌA Francesco Ceci Rosanna Costagliola Daniela Lepore Peppe Lanzeta Alma Megretta OSSERVAZIONI SU NAPOLI DA SCAMPÌA Francesco Ceci Francesco Ceci, sociologo, lavora presso l'ufficio tecnicodel "Programma straordinario per Napoli". • Osservazioni su Napoli da Scampìa - nome cui il lettore paziente darà corpo tra poco - per provare a ragionare, da un punto di vista deliberatamente estremo, su attori, eventi e problemi di una grande città in trasformazione. Un luogo estremo Le scampìe sono campi di arbusti, evocano campagne senza riparo dal sole nella buona stag10nc e dalle intemperie d'inverno: campagne buone per essere lavorate non per abitarvi. Proprio Scampìa era chiamata una di queste campagne, distesa sull'altopiano al limite nord di Napoli, prima di perdere il nome antico per acquisirne uno nuovo, preso dal numero della più nota legge italiana per l'edilizia residenziale pubblica: "la 167", numero magico che, in trent'anni, l'ha popolata di abitanti venuti dalla città: quarantatremila secondo l'ultimo censimento, molti di più secondo gli stessi abitanti. E questi hanno ridato a questa campagna l'antico nome quando, otto anni fa, hanno trasformato la 167 in Scampìa, la ventunesima circoscrizione della città, da ogni punto di vista la più giovane. Nella memoria della nuova Scampìa ci sono le storie di trent'anni di trasformazioni urbane a Napoli, traslocate qui con coloro che le hanno vissute nei quartieri d'origine, del centro e di periferia, dai movimenti per la casa degli anni Sessanta e Settanta fino al terremoto e oltre. In questa memoria, un'altra vicenda, appena all'inizio, va cercando spazio: quella di una periferia che vorrebbe fermare la crescita per avvicinarsi, nelle qualità, alla città. Avviene oggi, mentre l'intera regione napoletana smette di crescere - a prestar fede ai dati del censimento '91: tre milioni e scdicimiLAcm'A la abitanti, appena quarantaseimila più che nell'81 - e rende di sé l'immagine di un'arca metropolitana matura riguardo le quantità, e indefinita riguardo le qualità, ovvero caratteri, obiettivi e forme· di una moderna metropoli; e mentre in città nuovi governanti, guidati dal sindaco Bassolino, sperimentano nuove strategie che, fondate sul ripristino della legalità e della normalità amministrativa, sono orientate a un'inedita economia urbana, post-industriale nel gergo politico-giornalistico. In questo contesto, Scampìa - radiografata su queste pagine da Rosanna Costagliola 1 - è un luogo estremo perché distante dai valori che gli specialisti considerano tipici della maturità urbana, possedendo al contrario quelli caratteristici della così detta marginalità, effetto perverso dell'urbanizzazione, specie se pianificata. Al termine della grande espansione, il suo più tipico prodotto ne affronta l'eredità, fatta di cose fisiche, ormai consolidate, e di aspettative, destinate, invece, a crescere. Le prime sono ben visibili, le seconde, al contrario, sono da conoscere per capire quali domande rivolgono alle nuove strategie per la città. La metropoli immaginaria Prima di ragionare su oggi, un po' di storia. All'origine c'è il piano, quello per l'edilizia economica e popolare (Pcep) - redatto in base alla legge 167 del 1962 - che, più volte riscritto, diventa finalmente parte del piano regolatore di Napoli nel 1970/'72. Il piano inaugura una nuova politica per le abitazioni popolari, espressa in estesi insediamenti al margine estremo della città (e fuori di essa, com'era nelle prime intenzioni), direttamente collegati all'universo metropolitano per il tramite della grande viabilità. Un salto di scala rispetto al passato, reso ancor più evidente dalla cornice che l'accompagnava: indirizzi e proposte per un piano del comprensorio napoletano - opera dell'urbanista Luigi Piccinato - che ridisegnava la regione napoletana sommariamente: redistribuzione della popolazione, decentramento delle aree industriali, concentrazione delle funzioni direzionali, grandi aree verdi periferiche e, a far da telaio, la rete dei trasporti e della grande viabilità. Insomma: una metropoli, intesa come una città più grande, attributo fondamentale della modernità anni Sessanta. Questo disegno - mai approvato come tale ma attuato nel tempo per parti cospicue, salvo modifiche - cancellava i tradizionali rapporti centro-periferia, città-provincia, peraltro già precari, attribuen-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==