La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 5/6 - lug.-ago. 1995

bella, intatta, il Tenna tinto . d'oro e melagrana. Camminammo dalla stazione di Yokogawa finché il cielo impallidì, lungo i meandri del fiume fino alla casa presso il ponte Sumiyoshi, dove trovammo gli occhi acuti di Noburu, che faceva del suo meglio per celare sotto lo yukata un brutto zoppicare. Ci sorprese che avesse un altro ospite, un giovane impiegato delle poste, Shinkichi, che si unì al chiassoso ricongiungersi festoso: lacrime di saké sgocciol_anosulla manica, la pelle attorno agli occhi affondata fino a un rosso susina. Il secondo giorno Michico uscì a cercar pesce, la tela azzurra del mattino trafitta da una sirena. A fine coprifuoco noi uomini ci alzammo a bere tè e discorrere, l'oscillare lieve dei ventagli sul tavolino basso. C'era un paravento laccato accanto a me, l'arco intagliato di un acero: in Giappone, sempre il delicato, deciduo ramo, la tenera tristezza · dell'autunno nell'anima, se pure d'estate. L'anta era aperta, vedevo la lanterna di pietra, un lembo d'albero ombrifero. In cucina, su un tagliere, , . . e erano 1cocci di una tazza azzurra, schegge di canne vermiglie: il mal garbo del mattino, l'abitudine di premer~i la tazza calda sulla guancia, sei:npre gu~ndo ero perso nei pens1en. Avevo appena asciugato l'orlo macchiato del inio yukata. Isamu giocava in cortile. La piccina dormiva nella camera accanto. Parlavamo di lavoro, di politiche di guerra, quando a s~roposito a voce alta immaginai una fuga pigra all'ombra dell'albero. L'impatto venne al momento del mite sorriso. Vi fu una follia di luce. La casa si sfilacciò. La sensazione del giorno, che era il sommesso sposalizio di bianco e oro, di luce estiva pennellata su pannelli di pergamena, si fece lacera e nera. Non sapevo . che fare: pareva non avessi più un corpo, solo la sensazione di scavare, di cercare in calore crudo e cenere. Sullo schermo della mente, mi vidi che volevo alzare la piccina, Taiji, e allora, all'improvviso, capii: eravamo morti. · Mi libravo basso sulle macerie sconvolto. Pareva qualcuno àvesse passato l'argento di un ferro da stiro sulla città. Poi, poco a poco, mi sentii salire a una luce grande e accogliente. Ora, sbucando dalla galleria sotto il monte, proteggo gli occhi dall'esplodere improvviso del sole, catturo · la voce breve del mio volto sul vetro, e so d'essere Cyrus Cassells, e viaggio in treno verso Hiroshima, avvinghiato a un ricordo eh~ nessuna spiegazione puo staccare da me, fluttuando tra due mondi, come se tutto il tempo fosse la superficie di un solo stagno, come se l'anima fosse una radio, e ogni stazione una vita, un'incarnazione, che potesse sgorgare dal volgere d'una manopola nella mente, la mente di un giovane in viaggio volta a ricrearvi Yoshi N akamura nel Giappone della seconda Guerra Mondiale. Penso alla morte e oltre, · a come seppi che Mamoru non morì, ma venne protetto da un caramellaio e dalla moglie a poi adescato a vivere come loro figlio adottivo - una storia dei malefici . del tempo di guerra; a come vidi mamma Omie sola, spossessata, infine accolta dai co&nati, . : per p01 monre un mverno poco dopo la guerra. · E cos'è la morte di una famiglia nel mattatoio della storia? Non la panòplia della guerra, i termini del conflitto, ciò che l'anima ricorda è amore: il cercare nella neve di cenere e carne corrosa i miei persi Michiko, Isamu, Taiji, ·il cercare nelle mille strade di Tokyo MamoruGuardo dal treno - paesi, campi che scivolano via lungo il mio pellegrinaggio, e sento un ordine, una perfezione, una fratellanza talmente letterale che mi abbaglia perché davvero siamo uno l'altro, e se l'eredità che lasciamo è oscenità, guerra incessante, vnr,

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