La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 5/6 - lug.-ago. 1995

questa debolezza va oltre i mille giorni dell'assedio a Sarajevo, e tocca le ragioni reali che possono muovere uno degli Stati europei a un impegno sul terreno: la coincidenza tra interesse nazionale e strategia politica. Questa coincidenza era indifferente per Washington, perché la crisi slava non toccava inte- . . . ressi econom1c1 americani (come invece era accaduto nel Golfo), ma era indifferente anche per gli Stati euròpei, tenendo conto che nessun rischio di contagio extrabalcanico appariva sul terreno e che, per esempio, solo l'l per cento dell'export inglese era destinato ai mercati della vecchia Jugoslavia. Ragioni di potenza e congiunture politiche lasciarono immaginare invece che, allo stesso modo di quanto s'era fatto nel Golfo, la supponente Civiltà Occidentale non potesse assi tere pa siva al ripetersi dei genocidi nazisti sulle porte di casa: così un Bill Clinton impegnato nella corsa presidenziale agitò vigorosamente i doveri dell'intervento a difesa dei popoli assali ti, e a.Ilo stesso modo una Comunità europea impegnata nel difficile parto del Trattato di Maastricht per la creazione di una vera Unione continentale fece finta di poter essere un oggetto politico determinante per il controllo delle crisi internazionali. Ma erano, l'uno e l'altra, pur.:a retorica. Nel suo L 'air de la guerre (Ed. Seui!), Jean Hatzfeld scrive che "l'inazione diplomatica di inglesi; francesi e americani è solo specchio della loro paralisi politica". La celta politica che in realtà mosse le f otenze europee fu quella de containment, un piano cioè di stabilizzazione della crisi che accettasse di fatto la vittoria serba e ne sancis e un consolidament.o duraturo attraverso la spartizione etnica del territorio. Ma non era affatto una scelta politica, quanto piuttosto l'ammissione di una impotenza a modificare sul terreno i risultati cieli'aggres ione militare; la diplomazia conosce mille artifici per mascherare la sconfitta, e Vance prima, e lord Owen dopo, guidarono legioni di negoziatori che fingevano un impegno equilibra~ tore che non c'era affatto. In realtà si pièsava definitivamente a sanz10nare un precedente pericoloso; il premio a chi ha attaccato con le armi e si è conquistato il terreno con la forza. La guerra in Cecenia di Eltsin trovava subito una sponda di sostegno, e venivano messe in un angolo le scelte della Csce e la stessa ragione delle Nazioni Unite. L'Onu e le guerra La strategia che pare prevalere su·! terreno oggi, dopo la cattura (e il rientro) degli ostaggi con casco blu, immagina che l'Urtprofer debba avere la capacità di reggere le minacce e gli attacchi dei serbo-bosniaci di Karadzic ancora per tre o quattro mesi; intanto, la diplomazia segreta riuscirebbe a concludere un patto globale con Slobodan Milosevic, il quale rinuncerebbe al suo sogno della Grande Serbia (almeno nelle frontiere che aveva finora imrn agin ato ), riconoscerebbe formalmente la repubblica di Bosnia, e avrebbe, in cambio, una decisa attenuazione dell'embargo dell'Onu. Non sarebbe la fine immediata della guerra dei Balcani, però le truppe di Pale si troverebbero sempre_ più isolate, e la loro capacità di fuoco subirebbe il definitivo allentamento; un negoziato politico-diplomatico chiuderebbe allora la partita, riproponendo una confederazione che tenga conto delle percentuali di territorio assegnate già un anno fa al Piano Owen. Il disegno strategico pare tanto perfetto quanto astratto, tenendo conto delle incertezze e delle debolezze che hanno segnato fin qui la missione dell'Onu nella ex-Jugoslavia. Un durissimo ediwriale del "Guardian" (la stampa inglese ha seguito la guerra dei Balcani con una continuità esemplare) si chiedeva in questi ultimi giorni: "Che cosa bisogna fare in Bosnia? L'Onu e la Nato e tutti i governi che sono coinvolti concordano su una cosa soltanto: che non ne hanno la minima idea". Ma non ci sono solo i commentatori inglesi, a sottrarsi al fascino delle ipocrisie che hanno retto la politica occidentale sui Balcani; George F. Will scrive sul "Newswèek" che "L'Unprofor è come il Sacro Romano Impero, che non era né sacro né romano e nemmeno un impero. La forza dell'Onu è in realtà senza forza, e perciò ha bisogno di più protezione di quanto ne possa dare". L'ironia amara di questi commenti poggia su una realtà solida, che le truppe dell'Onu spedite nella vecchia Jugoslavia con una missione di "peacekeeping" (mantenimento della pace) si trovano invece a operare in un.terreno dove la pace non c'è affatto. La loro missione tradisce la debolezza sostanziale dei mandanti, fermamente contrari a immaginare qualsiasi escalation che li possa coin-. volgere in guerra, e il risultat comungue è che la dichia,rata neutralità dei caschi blu finisce per servire da copertura alle scelte aggressive dei serb o-b os ni aci; non solo: ma qu~ste truppe diventano anche un bersa~lio vulnerabile della spregiudicatezza di Pale, proprio in ragione della debolezza politica del loro mandato. Dietro gli equivoci mi_- serandi che accompagnano i limiti dell'azione imposti ai caschi blu. e agli aerei della Nato passano allora i contenuti reali dell'analisi sul terreno: la banda dei serbi ha sfidato il mondo, e ha vinto. La disfatta dell'Onu è drammatica, nemmeno i pun° ti minimi della missione vengono mantenuti: non quanto veniva stabilito con la risoluzione dell'agosto '92, che "ogni mezzo necessario" poteva essere usato, per assicurare la consegna degli aiuti umanitari alle popolazioni assediate; non quanto veniva stabilito dal Consiglio di Sicurezza nel maggio del '93, che Sarajevo, e le città di Tuzia, Tepa, Gorazde, Bihac, e Sebrenica, dovevano costituire "zone protette", libere da ogni attacco e da ogni minaccia; e nemmeno quanto veniva deciso da altre due risoluzioni del '94, che "ogni mezzo necessario" potesse essere usato, "compreso l'uso della forza aerea", per difendere i civili delle "zone protette". Queste parole sono rimaste retorica, e la Serbia ha fatto i fatti propri. I serbi, dice George F. Will, sono "·quello che le nazioni della Nato non sono: i serbi sono seri". Ma quello che si combatte oggi nei Balcani è assai più di uno scontro etnico, o di un ridimensionamento delle. ambizioni dell'Unione Europea. "Tutto è in gioco laggiù, dice Pat Moynihan, perché laggiù sono in gioco I principi". I principi della ragione, del rifiuto della violenza, del diritt del popolo; i principi stessi che hanno portato alla nascita

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