La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 4 - giugno 1995

voro. Certo alcune di queste condizioni sommate ai risultati, molto tangibili in Italia, delle lotte operaie degli anni Settanta sono state tali da ridurre o spost~re le lavorazioni altamente pericolose; ciò è avvenuto generalmente in tutti i settori produttivi e specificamente rn alcune aree del paese e in alcuni cicli lavorativi f articolarmènte interessati da cambiamento tecnologico o dalla concentrazione produttiva. Questa metamorfosi del lavoro che ritonosce stretti legami con l'economia e con lo stato sociale non può risultare estranea, anzi è strettamente correlata, con la salute e la sicurezza di tutti coloro che in un tale sistema, a vario titolo, lavorano o non lavorano. Il quadro relativo alla salute dei lavoratori viene ad essere più _pr~cisamen_tdee~ineato propno m questi mesi grazie alla trasposizione della normativa italiana della maggior parte delle Direttive delle Comunità Europee. Si tratta di una normativa che nel mentre tende ad "armonizzare" nei vari paesi gli standard e quindi i costi della salute nei luoghi di l~voro, determina procedure e ruoli della prevenzione che sono per molti sensi innovativi per l'Italia. Anche per la salute dei lavoratori l'intervento pubblico capillare e specifico (voluto dalla legge di Riforma sanitaria del 1978) deve essere sostituito da un protagonismo dei datori di lavoro e da una 'i_Qçj_ "partecipazione" finalizzata e precisamente regolamentata dei. lavoratori e dei suoi rappresentanti. L'avviq del sistema così innovato si annuncia ricco di difficoltà e carico 'di effetti, alcuni dei quali potenzialmente ne~ativi: retrocessione sino agli standard europei di alcun risultati più avanzati ottenuti e ancora mantenuti da alcuni gruppi di lavoratori in Italia; incapacità o non volontà da parte della maggioranza dei datori di lavoro di assumere questo ruolo culturalmente egemonico e fattivo nel campo della prevenzione così da vanificare la prospettiva che tutti i lavoratori raggiungano almeno quegli standard europei; impossibilità, in alcuni casi, di sopportare da parte dei datori di lavoro gli oneri occorrenti al raggiungimento di que~li standard con conseguente difficoltà di restare alla luce del sole sul mercato e ricorso al lavoro clandestino. La "privatizzazione" ·e per certi aspetti la rinuncia formale (quella sostanziale è da tempo liberamente esercitata in molte Regioni) da parte dello stato e delle istituzioni al governo reale, anche se indiretto, dei problemi della salute. dei lavoratori si affianca alle abdicazioni esercitate in molti altri campi della sanità, dell'assistenza, della previdenza, dell'occupazione. Viene ripercorsa in questo modo una strada di ammodernamento e di progresso per nulla originale, ma probabilmen- .te più pericolosa, per ampi strati di popolazione e di lavoratori, di quella se~uita in altri paesi industrializzati a partire dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna. In questo modo, invertendo alcune tendenze degli ultimi decenni che pur abbond.avano di contraddizioni, si perpetuano o addirittura risultano peggiorate le condizioni che debbo~ no essere riconosciute alla base che poi determinano le inegu agli an ze sociali e anche quelle sanitarie misurabili in termini di mortalità e anche di incidenza di malattie invalidanti delle quali si è parlato prima. Ai rischi professionali ·non controllati come determinanti di ineguaglianza se ne possono sommare degli altri, m una reazione a catena che interessa sempre gli stessi gruppi sociali capaci per altro di ingrandirsi reclutando numeri più grandi di soggetti che prima ritenevano di essere meglio garantiti. Riferimenti bibliografici Saverio Gazzelloni, Raffaele Pastore, Andrea Torna, Economia e lavoro: una nuova fase, in "La terra vista dalla luna", n. 22 1995. . Giorgio Lunghini, L'età dello spreco, Bollati Boringhieri 1995. Guy Aznar, Lavorare meno lavorare tutti, Bollati Boringhieri 1994. Ministero della Sanità, Regione Piemonte, Mortalità per professioni in Italia negli anni Ottanta, !spesi .1995. •

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