La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 3 - aprile-maggio 1995

gne di opinione, può sempre più sentirsi tutelata solo in condizione di segregazione di chi ha commesso un reato - oppure quello del recupero alla società del reo, pur attraverso una sofferenza - perché tale è la riduzione della libertà e l'interruzione dei -legami, in qualunque forma le si realizzi. O ancora, un fine che in dosi e proporzioni diverse li contempli en"'" trambi. · · · · . Il maggiqre o minore spostamento su l'uno o l'altro di questi due poli determina una diversa visione e una diversa funzione dell'intervento punitivo. L'accentuazione sul primo sposta di fatto la posizione formalmente utilitaristica su un binario retrib~tivo e pre-mo,.. derno: dietro l'affermazione di punire «per tu,- telare la collettività" si cela spesso - si pensi al dibattito statunitensé sulla pena di morte - una diffusione socializzata del desiderio di vendetta individuale. Si deforma cioè una connotazione fondante del diritto penale, una sua dimensione costitutiva negli stati· dell'era moderna. Il diritto penale, infatti; nasce non come sviluppo ordinato della ve·ndetta, non più lasciata alla cruenza del singolo, mà assunta dalla razionalità dell'istìtuzione statale; al contrario, nasce come negazione della vendetta, non in continuità, bensì in discontinuità e in conflitto con essa; e si giustifica non già con il fine di assicurarla, ma con quello di impedirla. È invece solo l'accentuazione sul secondo dei due poli precedentemente evidenziati, che porta a centrare l'attenzione sul soggetto de-· stinatario della pena, e; pur. nelle necessarie funzioni di generale prevenzione e dì tutela della collettività assegnate alla pena stessa, a determinare una sua configurazione limitata. Una configurazione che deve tendere, come scriv~ il giurista Luigi _Ferrajoli,_a «~oncil~arè !l massimo benes$ere dei non dev1ant1 con 11 minimo malessere dei devianti". Al diritto penale vengono così chiararriènte assegnate le sue due fondamentali e distinte funzioni preventive: prevenire i delitti e prevenire le pene arbitrarie e ·sproporzionate.· In questo solco di rifléssione si inserisce l'ipotesi di pena come «correzione" e «rieducazione" delineata dalla nostra Costituzione: la pena è diretta ad una doppia utilità, quella della prevenzione e della difesa sociale e, soprattutto quella .del reinserimento del' condannato. Del . resto, il reinserimento è garanzia anche della maggiore tutela soc~ale. È questa l'ipotesi contenuta nell'articolo 27 che, nel suo terzo comma, stabilisce esplicitamente che «le pene devono tendere alla rieducazione del condannato". Articolo, questo, più volte oggetto di attacchi in sede di interpretazione: solo nel 1990 ne è stata data una inequivoca lettura da parte della Corte Costituzionale che ha sentenziato che «se la finalità [della pena J venisse orientata verso caratteri diversi dalla rieducazione si corre.:. rebbe il rischio di st~mentalizzare l'individuo per fini generali, di politica criminale o di privilegiare la. soddisfazione di bisogni collettivi, cioè la difesa- sociale, sacrificando il singolo attraverso l'esemplarità della sanzione.· È per questo che in uno Stato evoluto la finalità rieducativa non può non imporsi allo stesso legislatore" (sentenza n. 313 del 2.7.90). Articolo non ·sempre linearmente accolto da:l comples_so ·di norme del nostro ordinamento: con la sua ratio entra, ad esempio, in palese contrasto la previsione, nel codice penale, della pena dell' ergastolo. È comunque il punto di riferimento del noBibliotecaGinoB-ianco stro sistema delle pene. Come è stato osservato da molti commenta- . tori, è indubbio che la formulazione di questo articolo è stata frutto della convergenza delle tre impo_stazioni culturali caratterizzanti le for- .ze politiche presenti nell'Assemblea costituente e, quindi, dei significati e della funzione da esse attribuiti alla pena: una funzione di emenda e di red_ènzione per il reo, per la cultura cattolica;_ una funzione terapeutica, per la cultura liberalconservatrice; una funzione pedagogica per la cultura comunista. La formulazione di tipo "correzion:alista" è il punto di incontro di queste tre diverse funzioni. · La scelta operata dai costituenti va comu.qqUe nella direzione di affermare che i necessari requisiti di "certezza" e "predeterminazione legale" delle pene, che sono i cardini del nostro sistema penale, così come configurato da più articoli della Costituzione stessa, non comportano una loro lilteriore connotazione, la sua assoluta_"fissità", l'impossibilità cioè di intervento, legalmente determinato e giurisdizionalizza- . tò, in fase di esecuzione. Al contrario, l'aver posto nella Costituzione la "finalità rieducativa". come giustificazione e sensatezza dell'intervento punitivo ha - O· do- · vrebbe avere - effetti in più direzioni. In primo luogo esclude un'astratta fissità della pena, che ne dilaterebbe a dismisura la quantità e la ricondurrebbe indirettamente a mera retribuzione; in · secondo luogo, è condizione per il reinserimento sociale del condannato e, quindi, per il suo recupero alla collettività; in terzo luogo è pr:emessa per un rapporto proficuo tra. carcere e territorio e per una diminuzione della "separatezza" carceraria. Infine offre una possibilità pèr sanare il divario - sempre maggiore nell'attuale contesto sociale - tra la predeterminazione normativa della quantità di tempo segregato e il rapido mutare del tempo stesso, la sua possibilità di contenere un quantitativo di esperienze - e, quindi, di vita sottratta - sempre maggiore. . · Naturalmente, occorre avere chiarezza sull'interpretazione di quel «tendere alla rieducazione del condannato". In astratto, questa formulazione può essere fonte di deviazioni soggettivistiche nella erogazione e nell'esecuzione delle pene: il rischio è di spostare l'attenzione dal reato al reo, fino a farla con".'ergere sulle sue connotazioni personali, sulla sua presunta ~'pericolosità sociale", sull'inquisizione del suo pensiero e aprire così la strada a forti discrezionalità e disparità. Se non ci si vuole esporre a un'impostazione illiberale, la finalità rieducativa non può essere dunque intesa come trasformazione dell'interiorità del detenuto, come sua "redenzione morale" - accezione che la porrebbe sicuramente in contraddizione con il paradigma dello stato di diritto-, bensì come "reinserimento sociale" o "recupero sociale". Quindi, come processo di interazione, idoneo da un lato_a sviluppar~ le ~ue capacità di ~utodetermi- :naz1one nella vita d1 relazione, dall altro a promuovere l'accettazione socia.le attraverso for- . me, appunto, di reinserimento .. È una sottoli-. neatura oggi necessaria, di fronte a crescenti richieste di ravvedimento soggettivo, poste alla ·base·dell'accettazione e del diniego dell'accesso a misure alternative, da.parte di taluni tribunali di sorveglianza. La pena· utile . Il .nostro sistema qelle pene si clelinea così nelle sue ipotesi culturali e teoriche; queste BUONI E CAIT!Vl

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