Lo Stato Moderno - anno VI - n.3 - 5 febbraio 1949

50 LO STATO essere all'avanguardia della storia (socialisti e al– cune zone dei federalisti) non riusciranno a far re– gredire questo organismo sino alla funzione di sem– plice coordinatore degli Stati, e ad annullarlo sino a qualcosa di meno di una alleanza, se veramente dentro ad esso si soffierà uno spirito nuovo, lo spi– rito della passala sofferenza (che sembra però sva– nito con incredibile rapidità), se esso sarà guidalo con decisa e ferrea volontà, è probabile ché un miglior avvenire per questo vecchio continente sia alle viste. Cerio è supremamente scoraggiante vedere i socialisti (che così immeritatamente tengono in ma– no tanta parte dell'opinione pubblica europea) o in– certi e perplessi, come quelli del P.S.L.I., o decisa– mente avversi, come quelli del P.S.I. E' scoraggian– te sentir di nuovo confondere Ira indipendenza co– me dato giuridico, politico, e l'autarchia o autosuf– ficienza economica. I socialisti, a cui decenza vieta di assumere l'alleggiamenlo nello dei comunisti di solidarietà con la Russia, si nascondono dietro la pudica indignazione che dovrebbe essere sollevala dal fallo che la Unione Europea, incapace di suffi– cienza economica, 'deve nascere col beneplacito di Washington. Oh felice anima di Camillo Benso di Cavour. che alla vigilia del '59 non avesti socialisti a rimproverarti- di voler fare guerra all'Austria « anche » con le armi della Francia, visto che quelle del Piemonte non er'ano sufficienti alla bisogna! Ma ai socialisti, nella loro vecchia e tranquilla sugge– stione internazionalista, l'Europa Unita, così come si fa, non piace. Essi la vorrebbero come non la si può fare. Essi la vorrebbern ricca delle officine di Detroil, del pt'lrolio di Mossul, del grano di Ucrai– na, deUa energia del lago Tanganika, del cotone del Nilo, e del segreto della bomba atomica. Se no, no. Comunque Patto di Bruxelles, e Unità Europea, per quel tanto di mera proclamazione diplomatica che era possibile nelle attuali circostanze, stan– no dietro le nostre spalle. E piangere gli errori vale soltanto per quanto serve ad evitare i nuovi. Il problema che ci sta dinanzi è quello che va sotto il nome di « Patto Atlantico>. Che cosa esso rappresenti nella· sua struttura materiale è ben no– to. Gioverà invece esaminare che cosa sso rappre– senta dal punto di vista d·iplomalico e politico, e se convenga all'Italia accettare l'invito che, a quan– to affermano le fonti più competenti, le sarà rivol– to, ed entro quali lii-niti dovrebbe la sua accetta– zione essere contenuta. j E' chiaro cbe il Patto Atlantico non è che uno sviluppo della Unione Europea, come la Unione Europea non è che un (eventuale) sviluppo del Pat– to di Bruxelles. Oggi il mondo cammina in fretta, e guai all'uomo di Stato che non abbia l'ala della MODERNO fantasia sufficientemente tesa per non farsi travol– gere dal tempo. Gli orizzonti si allargano e si spa– lancano, e poi magari si richiudono vorticosamen– te; e non è certo facile in questa situazione non per– dere di vista i propri piccoli e tradizionali interessi, ma sapei-li di colpo - con la rapidità necessaria - trasferirli sul piano delle solidarietà e dei contra– sti intercontinentali e mondiali. Nè ha gran senso chiedersi se questo wiluppo ha tendenza difensiva o offensiva. Nulla al mon– do nasce con tendenze così ferree e predeterminafe come mostra di credere (magari con innocente buo– na fede) certa pubblicistica nostrana. Certi sviluppi sono il silenzio di oggi e il segreto di domani. A noi basta osservare obieltivamenle che lo sviluppo era inevitabile per la gracilità stessa del nuovo organi– smo europeo. Se dunque si accetta di far parte della Unione Europea non si può non accellarne gli impliciti (tanto più quando esplicitj) sviluppi che sono resi obiettivamente necessari. O rifiutare ogni solidarietà europea, o accetta– re il Patto Atlant'co. Rappresentarsi che cosa signi– fichi rinunciare ad ogni solidarietà europea, in un mondo e in un momento in cui tutto è instabile, in– certo, miserabile e 'imlifendibile, non esige grande sforzo di fantasia. La nostra adrsione al Patto Atlantico è dunque imposta dalle cose. E a questo p~nto giova però che i nostri dirigenti della politica estera si impadroni– scano di questa « necessità delle cose> e la indi– rizzino secondo impone la stretta tutela dei nostri interessi. Non si facciano insomma ulteriormente rimorchiare, nè pongano limiti o condizioni risi– bili. Il nuovo Patto creerà delle solidarietà, ed è manifestamente ingenuo - per non dire cose peg– giori - pretendere, come pure si comincia a chie– dere da qualche parte, che la solidarietà funzioni a un binario solo, e imponga agli altri di aiutare noi senza che noi siamo vincolati ad aiutare gli alt;i. Sono machiavellismi di bassa lega, e meglio sarebbe in questo caso rifiutare tutto e tapparsi in uno « splendido » isolamento. E poi occorre non lasciarsi imbrogliare da que– sti grandi temi di politica internazionale, e ricordar– si che ci sono problem~ che possiamo anche risol– vere da soli. Perchè, ad esempio, si è aspettato ad essere buoni ultimi nel riconoscimento dello Stato di Israele? Forse si è aspettato che altri conqu'stas– sero quelle posizioni commerciali nel Medio Orien– te, che sono cosi vitali per la nostra industria e per il nostro commercio? O forse il « placet > di qualche Potenza, che non farà nemmeno parte del Patto Atlantico? MARIO PAGGI

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