Lo Stato Moderno - anno V - n.15-16 - 5-20 agosto 1948

LO STATO MODERNO 351 algiusto prezzo, con le norme del contratto a lungo termine o « di– ritto di superficie>, introdotto nel nuovo Codice italiano. Solo così, afferma il de Finetti, si potrà passare per evolu– zione(non per sommovimenti promossi da quella « farre di case> chein attesa dei 15 milioni di nuovi vani sta crescendo di giorno ingiorno) da una ad un'altra civiltà urbana. E solo in quella nuo·– va, fondata sulla comunità del possesso fondiario urbano, dissolta senzacolpo ferire la tipica feudalità che oggi lo domina, potrà rinascereuno spirito civico. Spirito che è per sempre esulato dagli agglomerati urbani moderni in cui infierisce la speculazione fon– diariaprivata, che è la forza nefasta che dilania giardini e cortili, chespinge anche le città di lil;era pianura a « grattare il cielo> ed a comprimersi in modi grotteschi. Solo per questa < evoluzione di fondo :o le città cesserannno ,li essereluoghi che l'uomo moderno fugge appena può, cercando in millemodi la libera natura o - come surroga - le arene, gli stadi,le fiere. • • • Che il Congresso abbia sentito l'importanza di questa tenden– za, le regioni che ne fanno il fulcro a cui conviene applicare le migliori forze del paese per farlo risorgere, per non « rico~truir– lo > nei balordissimi modi che lo menarono a perdizione, è rii- mostrato dal suffragio di voti che ebbe una mozione esprimente quell'indirizzo i;olitico ed econorrico, e con la quale si da man– dato all'Istituto nazionale di Urbanistica di nominare una Com– missione cui spetta presentare concrete proposte di modifiche alla legge del 1942, < fondandosi sul criterio di equilibrare rapporti r funzioni tra propri~tà privata ed enti pubblici, ai quali-soli vanno riservati i vantaggi derivanti dalle trasformazioni previste <lai piani regolatori >. E' qui invocata, ben chiaramente, una nuova formula dell'a• zienda urbana, formula che faccia cessare l'assurda pratica che affida all'ente collettivo solo la proprietà delle aree non com– merciabili - quali sQno le strade e quelle pei servizi pubblici • e, lascia le aree edi[icab,ili in possesso ai privati. E werita d'essere rilevato il fatto che quell'ordine del giorno, approvato a grande maggioranza, fu sottoscritto da congressisti di tuttte le parti d'Italia - dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Li– guria alle Marche, alla Sardegna, alla Sicilia - : dimostrazione confortante che il pensiero del Oobbi, quale Milano conobbe fin dal 1900 ed cnorò di un voto consenziente in un Congresso, ma che i e liberali> di allora sepellirono sotto la grave pietra del si– lenzio, riappare oggi più valido che mai e trova ascolto in tutte il paese DEDALUS Appunti sulla Questione Meridionale II. Che sia la volta buona? Nell'articolo precedente (1) ho cercato di esporre in che cosa consista la Questione Mi!ridionale mettendone in rilievo l'elemento-base - la grande prevalenza dell'agricol• tura per insopprimibili ragioni naturali - e scartando così la soluzione della spartizione delle terre, c_ome l'altra del– la socializzazione. In -quella si frantumerebbe la miseria, come gli esperimenti più volle tentati della quotizzazione dimostrano, perchè - a prescindere da cento altre pre– messe e conseguenze - mai il capitale interverrebbe in aiuto del bracciante diventato proprietario. Nè la conso– ciazione delle singole miserie porterebbe alla loro elimi– nazione. Le forze unite producono forza maggiore, ma la unione della pov·ertà, della diffidenza e dell'ignorama non può dare che frutti d'odio e di stenti. Quel che invece importa è cercare e trovare il modo di produrre di più: in seguito si vedrà come procede,·e alla spartizione del prodotto. Ma prima di entrare ,nel vivo di questa indagine è necessario parlare chiaro a proposito dell'industria/izzu– :io11e dell'Italia meridionale. Se con questo termine si vuol designare la maggiore razionalità dello sfn:ttamento agricolo, e la coordinazio– ne degli sforzi, e l'impiego delle materie residuate secon– do i sistemi trionfalmente invalsi nell'industria, nulla da obiettare. Se al contrario si intende coriservare alla paro– la il suo significalo p1ù ristretto, allora si è in. presenza di un tragico. errore. L'Italia del Sud non ha che poche materie prime (zolfo, mercurio, bauxite, potassio, prodot– ti ortofrutticoli); e manca quasi completamente della fo1·– za motrice, dei macchinari, degli impianti portuali, degli scali, ecc. Che in America o in Russia si siano potute tra– ~lormare regioni agricole in zone indu~triali, è vero; ma In metamorfosi è stata resa possibile dall'esistenza in loco lii quelle sostanze ed energie che a n.oi mancano in tutto 0 in gr!ln parie. E anche gli Stati Unili hanno conservato alla California la sua caratteristica di territorio prevalen– temente agricolo, e l'U.R.S.S. del pari per la Crimea, per - (I) Stato Moderno, 1948, n. 12-14. fernrnrd :id rrnmpi di cognizione generale. La sola vera ricchezz,t del Meridione è ancora e sempre nelle sue zol– le pur ~e aride, pur se scarse, e nel sole e Mll'aria: tra– scui-::irla, per inseguire un miraggio più ancora che una speranza, sarebbe colpevole e fors'anche delittuoso; e del resto. lo riconosce esplicitamente il recentissimo Rappor– to del!~ Commissione mista italo-amerlcana che ha com– piuto studi ed ind·agini per la rinascita del Mezzogiorno. Ciò detto, vien meno la necessità di un'analisi del molti pareri di ignoti e di illustri, di tecnici e di politica– stri. Buona fede consiglia di attribuire ai suggerimenti ed ai consigli generici di industrfalizzazione solo il va– lore. che abbiamo cercato di dare a questo concetto; nel contempo la prudenza ammonisce di far giustizia somma– ria di tutti i piani - poliennali o no - intesi a rendere l'Italia Meridionale il centro dell'industria mediterranea. Basterebbe, fra le tante obiezioni, considerare solo quella che ha riguardo alla concorrenza di cui il Nord verrebbe a soffrire. Già a disagio- per l'innaturalità riel suo sviluppo senza facili sbocchi esteri, con prez– zi sostenuti unicamente dal protezionismo, l' attivitù industriale italiana subirebbe un duro e forse mortale col– po da un trapianto anche parziale al Sud di opifici e maestranze. Il rimedio sarebbe peggiore del male, chi· non si produrrebbero certo nuove ricchezze, mentre sì distruggerebbero quelle esislenti, sostituendo ad un fc– nc,meno anormale un altro che lo sarebbe in misura ma(!• giore, con tutti ~li oneri correlativi. Naturalmente, l'opinione di qualche studioso meri– terebhe commento specifico: il Barbagallo, ad es., di cui non possono disconoscersi e la competenza e l'amore per la sua terra, insiste nell'industrializzazione attribuendo ad essa virtù miracolose (2). Ma l'esplicita ammissione che de– stinate a prosperità sarebbero proprio le industrie che si riallacciano all'agricoltura (3), pone quest'ultima ancora in primo piano, perchè quelle industrie dovrebbero trasfor– marne i prodotti, che rimanendo poveri insufficienti e spregiati come sono oggi, ben poco alimento darebbero loro. Nè è il caso di far lungo discorso sull'utilità econo– mica dei succedanei e surrogati (dopo l'esperienza della quale usciamo!) quando il mondo trabocca di materie prime. Olio di arachidi anzichè di ulive.'e fibre di ortica in luogo di colone, per pagare più caro un prodotto scaden- (2) La Questione Meridionale, Garzanti, 1948. (3) Lhld., pRg, 106.

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