Lo Stato Moderno - anno IV - n.8 - 20 aprile 1947

166 LO STATO MODERNO pr-ese con partiti discordi ed avversi, entrambi preoc– cupati di un potere esecutivo forte, capace di garan– tire la pace all'interno mentre le frontiere sono minac– ciate. E qui finisce l'analogia tra i due uomini, salvo gli sviluppi ulteriori; ma può non finire, per chi ne abbia voglia, l'analogia tra due situazioni politiche, e Dio non voglia si abbia più tardi a parlare di un pa– rallelismo di dinamilca politica. Resta la constatazione che il degollismo è sinto– mo di una seria ·crisi dell'attuale situazione politica francese; e poichè si tratta di una situazione democra– ti<:a, non è azzardata la conclusione che si tratta di un sintomo di crisi della democrazia. E non diremmo della sola democrazia francese, ma di tutta la demo– crazia occidentale, e certo di quella italiana che, per antica tradizione e nuove necessità, ne ripete i ritmi e le cadenze. Forse, nonostante l'ingannevole appa– reruia della priorità nella manifestazione del sintomo, qui la crisi è più profonda pePChè la società è là più forte, la « calza di lana » più fornita, il respiro econo– mico più largo (e può quindi meglio sopportar.e questa specie di « asma lavorativa» che è uno dei residui più duri a sparire di quel gran sabotaggio che costituì u_n aspetto peculiare dell'ultimissima storia europea), la classe dirigente forse più addestrata, la tradizione più ricca e sostanziosa. D'altra parte, anche questa prio– rità è meramente apparente, perchè il nostro degolli– smo lo avemmo trent'anni fa, e si chiamò fascismo. E .qui veramente non vogliamo, nè in alcun modo intendiamo sottolineare presunte rassomiglianze tra il dittatore del passato e un uomo dell'incerto ·futuro; vogliamo soltanto indicare che, avendo la democrazia avuto il torto di rinascere tale e quale dalle ceneri della guerra, anche la sua critica minaccia di rinasce– re nei fatti senza grandi dissomiglianze. Strane generazioni le nostre. Poste· di fronte ai fatti più formidabili della storia, di fronte a sotterra– nee trasmigrazioni di potenza e di ricchezza, a miste– _ riosi declinar di fedi, a un mondo palpitante di novità, anzichè affaticarsi a frugare nel fondo di questi fatti, a determinarne la fisionomia e i limiti, a indagarne i. misteri e le passioni, a scoprirne gli argini e i ripari, le vedi tutte volte e affannate .alla ricePCa di « miti» irrazionali, come se questi poi non fossero un dono divino come la poesia, ma piuttosto il gracile fanta– stiJC'aredi un qualunque addottorato saputello. Eppure in fondo a questa ansiosa ricerca di mo– tivi irrazionali, e quindi di facile divulgazione e di sicura suggestione, c'è u'na ragione, e ih questa ra– gione c'è una delle chiavi della crisi della democrazia: La ragione della ricerca ad ogni costo del " mito » è di carattere elettoralistico. Le grandi masse hanno fatto irruzione nel mondo politico in forma decisiva, specialmente dopo la grande rivoluzione ~el suffragio universale, e il \oro voto è diventato la condizione indeclinabil~ posta alle « élites" per la loro carriera politica. Non più la fiducia del sovrano, come nei ga– binetti del settecento, non più la stima di ristretti cir– coli dirigenti l'opinione pubblica come negli anni aurei del parlamentarismo ottocentesco, ma occorre la designazione da parte di milioni e milioni di elet– tori, per la maggior parte del tutto sprovveduti di no– zioni politiche, e quindi agganciabili non già in virtù di « convincimento » (metodo razionalistico, caro al– l'illuminismo della prima democrazia), bensì in forza di « ipnosi·» mitica (metodo irrazionalistico, caro ad ogni democrazia moribonda). Il guaio si è che così non solo si mitizzarono sem– pre di più le masse, rendendole sempre più incapaci di ragionamenti politici, ma si mitizzarono le stesse classi dirigenti le quali, sempre più prigioniere di for– mule magiche, sempre più van perdendo il gusto ari– stocratico e difficile dell'uso della ragione di fronte ai problemi. Si tratta insomma di una massacrante vittoria della « quantità » alla quale non si è saputo appre– stare i filtri necessari per diventare « qualità» o, al– meno, per esprimersi in qualità. Eppure, dal Quinet al Tocqueville, all'Ortega, non sono mancati gli am– monimenti. E' necessario che la cultura trovi modo di far st!ntire non solo la sua voce, ma il suo peso, se si vuol salva.re. la democrazia (quale irrepetibile occa– sione quella del Senato! E la· si perderà). Il De Mai– stre, che per reazionario era grande e intelligente, aveva per la cultura in politica lo stesso orrore di tanti, di troppi nostri sedicenti e creduti rivoluzionari. Questo progressivo invilimento - che .non è solo intellettuale, ma necessariamente anche morale - del~a classe dirigente democratica, arriva a certi limiti oltre i quali comincia inevitabilmente a fun– zionare un dispositivo popolare, reattivo; e· a null~ giova che il rimedio sia peggiore del male. Questo, della sempre maggiore difficoltà 1 di una selezione qualitativa delle classi dirigenti, è a nostro avviso aspetto formale ma fondamentale della crisi della democrazia francese (e non solo francese); e su essa De Gaulle insiste, come insistè a suo tempo M·H·· solini,· come insistè Hitler. Che il medico abbia esa· sperato la piaga non è buona ragione per negare che la piaga esista. Un altro aspetto fondamentale di debolezza del sistema democratico è la debolezza dell'esecutivo. E' uno strano residuo di una mentalità polemica nei con– fronti delle defunte monarchie. Finchè la democrazia vivrà nel terrore della dittatura, e per salvarsi umi– lierà il massimo dei poteri dello Stato, non farà che porre le premesse tecniche della propria distruzione. Solo un esecutivo fQrte è in grado di salvare la sal– dezza dello Stato dal capriccioso e variabile umor po– polare. Ora nessuno dei partiti politici rinati in que– sto clima di « restaurazione democratica » ha voluto saputo o .potuto farsi rappresentante di questa su-

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