Lo Stato Moderno - anno III - n.12 - 20 giugno 1946

266 LO STATO MODERNO che indicavano al Gabinetto la via da seguire) il Governo si è mostrato incerto ed opaco, tardo nei riflessi, incapace di dommare una situazione che, so non è finita in tragedia, è per mento esclusivo del popolo itallano, e non importa stabilire :fin dove è mento di scetticismo_ e tin dove è mento di padro– nanza di nervi. Qualche partito ha creduto di rimediare allo smacco evidente dei propri uommi al Governo pas– sando rapidamente dal clima della tempesta. alla farsa tutta spiegata e, non appena andaiosene Um– berto con un proclama cne e tutt'al più buono a fondare un mauncoruco partito di leg1ttim1Sti ·bron– toloru, e qwnct1 non appena scomparsa ogni necessità di energia tuor della comune, na npe:;cato vecchi motivi me1oarammat1ci aeua souta nvornz10ne tran– cese (poss1b11e cne ancora non s1 sia capito che le nvoluz10ru son vita, e, come le cose della vita, 1rn– produc1b1u nella rorma e ne1 modi dl maru1esta– z10ne !) e ha com1nc1ato a panare di Cotaenza, di Convenzione e di 1egg1 eccez1ona.1.1.Vero che 1a pro– posta e 11Illta nel r1a1co10 aeua compostezza popo– lare, ma conviene ncoroare 1a 1ez10ne percne c·è troppa gente m giro nmasta ma1e per 11 mancaio spe~Laco10 piroLecnico preannunciato per il io apri– le l:!14:>, rinviato al .: giugno 1~'.iò, e non ancora di– sposta a capire che la 01::mucrazia 1tauana, 1n questa snuazione 1n1.erna e in questa snuaz1one internazio– nale s1 tonda so1tanto governando e 1egiìeranao: che sono cose meno p1tio1:e:;che 1 ma p1u a11nciu ct1 una quarantottata. • E poichè quod diff ertur non aufertur, e non è improbabue che qualcne inc11iente nasca a rlllloco– lare quella che è più una prerusposiz1one di tempe– ramemo che non una rùless10ne pontica, è bene cne su certi ep1sod1 non si passi totarmente la spugna, come una stampa, non ancora all'altezza della situa– zione, ha tentato di fare. La verità è che la democrazia si fonda con l'eser– cizio della libertà e non con la paura del contrad– dittorio. E a chi obiettasse con la solita rivoluzione francese o la sua sorella putativa russa, si può repli– Cqre in primo luogo clie profondamente diversa è la nostra situazione da quelle che determinarono le storie citate, e in secondo luogo che dalle .due vio– lenze non nacquero due democrazie, bensì il loro perfetto contrario, giustificato per di più in quei casi dalla necessità di difendere nuove posizioni di civiltà conquistate; ma qui poco è stato acquisito, e quel poco non è e non sarà contestato, se la classe dirigente sarà all'altezza della volontà e anche - perchè no - della bonomia popolare. A questo punto qualcuno potrebbe ritenere che questo non sia che uno sfogo retrospettivo ;,u un passato irripetibile, visto che si è alla vigilia di un nuovo Governo. Ma in realtà nel nuovo Governo ci sarà molto di vecchio, probabilmente ·ci sarà tutto di vecchio, e come uomini e come indirizzi generali. Si faccia un Governo a tre, a quattro o a cin– .que (come continua a parerci sempre più probabile), il nuovo Ministero non avrà una fisionomia politica diversa dalla fisionomia di quello uscito .così mal– concio da tanta piccola tempesta. La vigilanza popolare non sarà dunque senza oggetto. Molta incertezza regna ancora sul nome del Presidente della Repubblica. Si fanno i nomi di Or– lando, di Bonomi, di De Nicola. Non nascondiamo la nostra simpatia per il vecchio statista siciliano. Or– lando è monarchico e, a parte le troppo facili sug– gestioni dei ricordi mach-mahoniani, c'è il fatto crudo che circa metà dell'Italia si è dichiarata monarchica, ed è dovere di abilità che la Repubblica séanni gli agnelli per amore dei figlioli prodighi che debbono tornare; Orlando è meridionale, ed è dovere di giu– stizia assicurare il popolo del mezzogiorno che il maggior potenziale demografico del Nord non vuol sigruflcare sopraffazione; Orlando è un grande costi– tuzionalista ed è dovere t~cnico cominciare a seguire quell'aureo principio inglese che vuole « The right man at t/qe right place »; infine Orlando è il Presi– dente del Cons1gllo dei Ministri del 1918. La vittoria di allora può ancora servire a medicare la sconfitta di oggi; ci sono nella vit~ dei ricordi che non tra– montano, solo bisogna sollecitp.rli. E Orland~ può sol– lecitare a Londra, a Parigi e a Washington la me– moria di una fraternità nel sacrificio, e il ricordo di errori versagliesi e post-versagliesi che non noi com– mettemmo. Il popolo italiano merita finalmente una parola di lode schietta. Non solo ha dato prova di maturità democratica, ma ha pure dimostrato di saper vivere quarantotto ore non solo senza un Governo, ma per– sino nell'incertezza della forma dello Stato. Il Governo non ha più scuse per sè. La investi– tura è legale e perfetta. Il popolo ha parlato. Ora bisogna agire. C'è da salvare una moneta che bran– cola tra la Scilla del burrone inflazionfstico e la Ca– riddi della consumazione deflazionistica; c'è da· ria– nimare una industria presa nella morsa di un mer– cato ottuso e di prezzi di produzione crescenti; da 'rin– vigorire un commercio languente tra le spine senza rose di una burocrazia incapace; c'è da rafforzare una agricoltura che si batte coraggiosamente contro una scoraggiante penuria dei mezzi tecnici necessari; c'è da affrontare il problema di una radicale redistribu– zione della mano d'opera, ricordando che si tratta di una operazione essenziale •per la nostra economia, ma non dimenticando che milioni di uomini debbono es– sere salvati - qualunque sia il grado di sacrificio da richiedere al Paese - dalla umiliazione e dai do– lori della disoccupazione. E c'è infine una nuova po– litica estera da fare. La realtà è nuda. Ma anche una realtà rude può essere affrontata con intenzioni no– bili. Purchè iiano servite da intelligenze chiarissime. E mentre Molotov ingigantisce le nostre difficoltà interne per deprimerci internazionalmente, occorre una politica estera capace anche di migliorare la situazione del Paese. Non si chiede al Governo di risolvere tutto; si chiede al Governo.di affrontare, tutto . Mario Paggi

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