Lo Stato Moderno - anno II - n.22 - 20 dicembre 1945

J-16 LO STATO MODERNO moderno che non è proceduto per logica interna, cioè prima con la conquista delle posizioni econo– miche e delle capacità tecniche e culturali e poi con quella delle posizioni giuridiche; questa volta il pro– cedimento è stato tutto esterno meccanico e razio– nalistico; una classe, e per di più la più numerosa (quella che gli statuti della repubblica senese defini– vano come « il popolo del maggior numero ») veniva ammessa alla conquista dello Stato senza una chiara consapevolezza dei fini a cui indirizzare questo nuo– vo strumento posto nelle sue mani. Di questa perplessità soffre la vita dello Stato .ooderno in Italia e fuori, ma in Italia in modo par– ticolare per la incultura e la miseria tradizionale delle sue masse contadine e cittadine. Lo Stato esige una tecnica raffinata e una mo– ralità capace di superare gli orizzonti del proprio orticello. Se non si provvede alla dilatazione della prima, e a creare le condizioni per il fiorire della seconda, è vano sperare in uno svolgimento ordina– to della nostra vita costituzionale, la quale dovrà vivere sanando pragmatisticamente la contraddizione flagrante tra una classe dirigente ristretta e una le– galità costituzionale dilatata all'estremo. Una delle conseguenze più visibili e più acute di questa frattura tra la realtà sociale e la forma costituzionale (in Francia si è parlato a lungo di con– flitti tra pays rée! e pays !éga! ma con intona– ,.ione di polemiche contigenti, e questo impedì tinche là di vedere che il problema superava i ri– stretti limiti di opposizione ad eventuali Governi, e che si trattava invece di una frattura dovuta al modo di nascita del nostro tipo di Stato), fu la estra– neità costituzionale in cui si mantenne per lungo lempo il Partito Socialista, cioè il Partito a cui più largamente confluivano i ceti favoriti dall'allarga– mento del suffragio. Occorre ricordare che risale al 1903 la prima offerta fatta ai socialisti di parteci– pare al Governo, e èhe solo esattamente quarant'an– ni dopo, sotto l'urgere di una situazione storica e politica di alta drammaticità, essi si decisero a con– sacrare formalmente la loro partecipazione alla vita dello Stato, e che risale appena ad ieri la loro con– quista di una delle posizioni più delicate dello Stato moderno; quella che fa capo al Ministero dell'In– terno. Di fronte a questi rapidi svolgimenti storici - jl cui incalzare impedisce forse di valutarne appieno le premesse, e di tentare di intuirne le conseguenze due sono i pericoli realmente gravi: che si tenti da una parte di impedirli, irrigidendo certe posizio– ni politiche che appaiono travolte per il semplice gioco meccanico del suffragio universale, e che dal– l'altra parte non si abbia chiara coscienza che i nuo– vi doveri imposti dalla storia non si possono elu– dere richiamandosi a affermazioni di intransigenza, le quali da un lato suscitano diffidenze e dall'altro ritardano la formazione della coscienza politica dei ceti a cui si rivolgono. Da queste diffidenze e da queste nostalgie è attardata e offuscata tutta la no– stra vita; la nostra stessa ripresa, quella che ormai si usa chiamare con un nome da gergo tecnico « la ricostruzione», soffre di _questa doppia antitesi, di questa duplicità di atteggiamento che rende penosa proprio la ricostruzione più necessaria, anche se meno tecnica: la ricostruzione dello Stato. Non si ricostruirà lo Stato finchè non si sarà intesa la assurdità di ostacolare le conclusioni poli– tico-sociali della partecipazione totalitaria alla vita giuridica dello Stato, e finchè non si sarà intesa la ingenuità - per non dir di peggio - di andare alla direzione dello Stato con il dichiarato desiderio di evaderne al più presto, con la solenne e grottesca affermazione che questo Stato - che pur si deve dirigere - non è il « proprio Stato », come si trat– tasse di cose tra cui poter scegliere, e non della dolorosa e necessaria fatica di svolgere da quello che è, che come tale va accettato, quello che deve essere. Questo significa appunto non aver capito tutta la singolarità della situazione politica creatasi con il suffragio universale che ha potenzialmente consegnato lo Stato a ceti non ancora preparati a tale compito e che se, dalla formazione politica che li rappresenta, sono mantenuti nell'anticamera, tale preparazione non compiranno mai. La partecipazione al potere delle classi popo– lari non può dunque e non deve essere considerata semplicemente come un ripiego momentaneo do– vuto a un riflusso di slancio rivoluzionario. Una tale falsa prospettiva di Governo toglie– rebbe alla sua azione vigore ed elasticità. E la crisi dello Stato, non risoluta, si trasfor– merebbe di nuovo in crisi della democrazia. MARIO PAGGI ~lllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllll lllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllUIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII§ I E' uscito presso l'Editore Gentile i § ~ = = s = I ANTOLOGIA DELLA CRITICA SOCIA I = = S E ~ ( a cura di Giuliano Pischel) § e 3 I Luci ed ombre di trentacinque anni di socialismo (1891-1926) nelle I I pagine dei suoi più intelligenti interpreti i imllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllJIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIUIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII~

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