Lo Stato Moderno - anno II - n.12 - 20 luglio 1945

LO STATO MODERNO - .20 LUGLIO 1945 111 cetto dello stato come apparato è strettamente connesso il principio della sovraJllità personale, intesa come autorità che non conosce alcun superiore ad eccezione di Dio. Ma il so– vrano non può dimostrare di fatto la sua superiorità, non può esercitare la sua autorità invincibile, se non renrle sem– pre più perfetto l'apparato statale, e se non ne prende in mano via via con maggior vigore ed esclusività la direzione. Quando la macchina statale è costituita in modo da servire unicamente alla realizzazione della volontà del principe e quando il principe è così padrone del suo funzionamento che essa non può essere manovrata da altri, si ha quella perfetta compenetrazione tra principe e stato, tra sovranità e appa– rato esecutivo, in cui consiste l'essenza e la forza della mo– narchia assoluta. In questa compenetrazione tra la persona e il suo strumento di lavoro o meglio di potenza, questo fini• sce per partecipare alla maestà e alla dignità di quello: i ful– mini sono Giove, il giudice, la guardia, l'agente delle impo– ste sono il re. E i sudditi, che da questa macchina sono tra– volti o schiacciati, la guardano con quel rispetto e quella rive– renza che sono pur dovute ad una cosa tanto sublime e ter– ribile. A poco a poco il processo di meccanizzazione dello stato e il processo di divinizzazione s'identificano. e lo stato partecipa a volta a volta della maestà divina del principe e della forza efficiente dell'apparato esecutivo, e la forzata sog– gezione al meccanismo potente si trasforma agevolmente e ineluttabilmente in adorazione del dio-terreno. Processo di identificazione, questo, che a sua volta non è altro che una manifestazione, e quindi una riprova, dell'indirizzo generale del pensiero del tempo, il quale sotto l'ispirazione della con– cezione meccanicistica delruniverso, compié in quella stessa epoca un'unificazione ben più ampia di quella tra stato-divi– nità e stato-macchina, e di cui anzi questa non è che un effetto, voglio dire la unificazione tra Dio e natura. soste– nendo da un lato una concezione meccanica dell'univtrso, che implica la sussunzione di tutta la natura sotto leggi rigorose ed esatte, e quindi la meccanizzazione della natura, ivi com– preso l'uomo, affermando dall'altro la concezione deistica di Dio come il grande meccaniceo della natuq;i, e propugnando nello stesso tempo la meccanizzazione della natura e l'ado– razione della natura, o se vogliamo usare la stessa espressione usata per lo stato, l'interdipendenza e la graduale unifica– zione tra la natura-meccanismo e la natura-divinità. In verità, poi, i due processi di meccanizzazione e di divinizzazione dello stato, çosì antitetici in apparenza, anche rispetto agli effetti che se ne traggono in ordine alla strut– tura politica della società civile, convergono sullo stesso cam– mino e si dirigono ad un'identica mèta, che è la consolida– zione dello stato propria dell'epoca del dispotismo, cioè di quello stato che in quanto ente per se stante, sia esso lo stato– cosa o lo stato-dio, .o la risultante di entrambi, ha una sua personalità distinta da quella dei sudditi a cui sovrasta, i quali non sono essi lo stato, ma hanno uno stato, buono o malvagio che sia, avendolo accolto come un dono elargito da una provvidenza benefica, o come un castigo da una provvi– denza vendicatrice, ma non avendolo essi stessi voluto con le loro deliberazioni, nè costruito con le loro ·mani. Lo stato– macchina e lo stato-divinità, insomma, dal punto di vista degli effetti- che ne derivano, sono da considerarsi, assai più 'he due processi distinti e autonomi ,due aspetti diversi di un medesimo fenomeno storico, quale è la cristallizzazione della potestà di dominio in un capo, sciolto da vincoli di leggi umane e per ciò stesso separato dal resto degli uomini che dalle leggi umane sono governati, e in un apparato buro– cratico-militare, che dà al sovrano la forza esecutiva neces– saria per impedire che il potere dall'alto si corrompa, s'inde~ bolisca, devii o si disperda. Per quanto nelle dottrine politiche del '600 e del '700 si possa trovare teorizzata ora la conce- · zione dello stato-macchina, ora quella dello stato-djvinità, en– trambe servono, vale a dire di entrambe i sovrani si ser– vono, per giustificare un'identica situazione di fatto, cioè il dispotismo. E identico è infatti il risultato a cui le due con– cezioni pervengono: l'entificazione dello stato, vale a dire la .considerazione dello stato come ente a sè, che ha le sue leggi di sviluppo, leggi provvidenziali o leggi meccaniche, le sue proprietà e i suoi fini; entificazioee che è poi la for– mula del dispotismo, inteso quale solo si può intendere, come separazione senza comunicazione nè ricambio tra stato e sudditi, tra dominatori e dominati. Per una riprova del c~nfluire dei due motivi dottrinali in un'identica teoria dello stato dispotico, si pensi a quella che è indubbiamente la più vigorosa e coerente, la più rappre– sentativa e audace, dottrina dello stato che la storia mo– derna prima di Rousseau abbia conosciuto: voglio dire la dottrina politica di Tommaso Hobbes. In essa i due mo– menti della divinizzazione e della meccanizzazione dello stato sono evidentissimi; e altrettanto evidente è la loro pacifica convivenza sul medesimo terreno, che è quello della giustificazione dello stato assoluto. Lo stato è per Hobbes, nello stesso· tempo Leviatano, cioè potenza mo– struosa e supemmana, e homo artificialis, cioè meccanismo: « Il grande Leviatan9 - egli dice - che si chiama stato, è opificium artis e homo artificialis ". &so divora i suoi sudditi come un idolo corrucciato e li stritola come una macchina di potenza superumana; e il sovrano è, a somi– glianza del dio dei deisti, Dio e insieme il Grande mecca– nico, o meglio Dio in quanto Grande meccanico. L'antitesi tra le due concezioni dello stato è annullata dall' identità dell'ispirazione e dalla consonanza dei risultati; o per lo meno è assorbita dall'indirizzo generale del pensiero allora dominante che tende, nella .concezione dell'universo e quindi nelle dottrine particolari che da questa non possono non essere influenzate, a superare con la ragione astratta ogni contrasto, elaborando artificialmente un sistema unitario di Dio e della natura. Solo quando l'unità del pensiero raziona– listico si spezzerà con la crisi dell'illuminismo, e si saranno aperta la loro strada le prime dottrine dello stato democra– tico, contrapposto allo stato dispotico, le teorie dello stato– divinità e dello stato-macchina, non dialettizzate dalla realtà storica di cui erano la formula, si mostreranno in quanto astratte formule nella loro nuda antitesi, e potranno persino apparire, rotti ormai i ponti con la teoria e la pra– tica del dispotismo, l' una il rovesciamento dell' altra. Lo stato etico di Hegel rappresenta l'estrema fase del processo di divinazione dello stato; ed è stato-Dio che non contiene più in sè alcun elemento meccanico, ché questo si ritrova, se mai, nella società civile che precede lo stato. D'altra parte lo stato strumento di classe, teorizzato da Marx, che da quello di Hegel deriva per contrasto immediato e pole– mica diretta, è lo stato-macchina, spogliato di ogni attributo divino e considerato nella sua funesta realtà. Questi due processi che nel pensiero razionalistico e illuministico si confondono l'uno nell'altro, qui in questa polemica ottocen– tesca si mostrano- nel loro reale valore e nel loro genuino significato, vorrei dire allo stato naturale, come due processi diversi di entificazione dello stato, antitetici ma equivalenti, incapaci entrambi di spiegare e giustificare lo stato demo– cratico, che si va in quel tempo affacciando alla storia come stato non entificato, fondato sul libero accordo degli uomini o contratto sociale. (Continua) NORBERTO BOBBIO

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