Lo Stato Moderno - anno II - n.2 - 16 gennaio 1945

I A sua volta la borghesia rurale, cosi come elaborando il giuspubblicismo aveva rappresentato un tentativo di eversione della società feudale, ad unità pro– clamata rappresentò invece il nucleo attorno a cui gl'interessi che s'erano volu– ti sopprimere si raccolsero deliberatamente, quasi che il vecchio si fosse mu1ato in un nuovo feudalesimo. La borghesia rurale si sostitul alla vecchia classe feu– dale, di cui assorbi la funzione economica, contrapponendosi con eguale tenacia allo sforzo di rivendicazione delle classi più umili. Questa è la chiave di volta per la comprensione di quella perpetua crisi poli!ica, di quella completa mancanza di vita politica anzi, che caratterizza il Mezzogiorno,e che se non giustifica certo spiega esaurientemrnte come mai, dopo aver dato all'Italia un vero, autentico, forte pensiero poli!ico, esso si sia illanguidito in un tristo gioco di clientele, di me– diazioni, di piccoli « partiti personali» (del medico condotto, del proprietario; del farmacista, del sindaco...), i cui risultati più vistosi sono da rico;oscersi nella pos– bilit."1che ebbe lo stato Haliano, privo di velleità etiche, di esercitare sull' Iialia meridionale quello stesso paternalismo che avrebbe potuto salvare i Borboni se solo si fossero un po' di più attenui i alla Costituzione. Si può dire che la Sicilia esce solo oggi da una tale condizione; oggi che riven– dica il potente contenuto liberale delle dottrine autonomiste. Le c1itiche alla lamentata situazione del Mezzogiorno non sono mancate: critiche teoriche che posero le fondamenta della« questione meridionale» attravero il pensiero della Destra storica postulante la necessità di cr€azione dello stato moderno come sostanza etica di un popolo pervenuto a coscienza di sé. Le ·dot– trine su l'autonomismo, sul decentramento, sulle garanzie costituzionali, la cri– tica violenta ai sistemi dello stato di polizia che continuamente emergeva non appena scrostata la vernice legalitaria, l'odio per la transazione e il compromesso, costituirono le armi della battaglia che la Destra liberale ingaggiù contro quello stato uTJitarioche essa stessa aveva potentemente contribuito a rreare. In questo è la profonda sostanza rivoluzionaria della Destra, mentre, specialmente dopo la sua caduta, le formazioni conservatrici si gettavano in quella politica trasformi– stica inaugurata dalle Sinistre e destinata a durare in certe frazioni purtroppo fino ad oggi, anno di grazia I945. A completare il quadro, a dimostrare (se ve ne fosse bisogno) che l'autono– mismo siciliano, come il problema generale del decentramento italiano, sono ter– mini di una stessa equazione, profondamente inseriti nel tessuto più intricato e profondo della storia d' 11alia,si potrebbe citare tutta una letteratura politica, economica, narrativa: da Giustino Fortunato ad Antonio De Viti-De Marco, da Giovanni Verga a Federico De Roberto, da Corrado Alvaro a Tommaso Fiore e ad Elio Vittorini, che esprimono variamente la continuità di un dolore sotto cui cova il fuoco, lento ma inesorabile come un fatto della natura, dell'odio e della rivolta. Sotto la macchina dello stato accentratore e burocratico, ignorate o misco· nosciute dal Nord, tradite e derise dai loro stessi rappresentanti, piegano le popo– lazioni del.Sud, progressivamente depauperate, assetate, senza strade, senz'acqua, senza elettricità, senza scuole, con la gran piaga del latifondo che si stende sul volto della terra, deturpandolo. Sopraggiungono la guerra e il fascismo. Gran fatto rivoluzionario, la guerra. Ma se quà e là si svilupparono i movimenti di Lussu in Sardègna, dei combattenti in Sicilia e in Basilicata, venne a tempo il fascismo per cancellare ogni velleità rivoluzionaria, per riaffermare la vecchia formula dell'unitarismo, per ingigantire ed esasperare i termini dello stato burocratico-accentratore contro il quale deve fatalmente puntare ogni possibilità di sviluppo dell'Italia meridionale, e della Si• - 8 -

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