Lo Stato Moderno - anno I - n.5 - novembre 1944

mica a fiì1iche le sono estranei, egli din~ostra che, quando sia lasciata svolgere Ìi– beramente; essa ha in sé ta virtù di raggiungere le condizioni più favorevoli ·al be– nessere individuale e collettivo. Ma la condizione posta non coincide affatto con il carattere privato dell'ini– ziativa, bensl con il i-ègime di concorrenza (che già il Cournot faceva consistere nelripotesi che nessuno degli operatori fosse _in grado di influenzare - apprezza– bilmente - i pr.ezzi di mercato),_ regime che non è più "privato" nelle varie forme di concorrenza imperfetta d€.lle quali, dal caso dell'unico venditore alle varie forme cli polipolio, la teoria economica ha descritto in questi ultimi venti anni la com– plessa fenomenologia. Non si vede nemmeno d'altronde nessuna necessità logica per cui siano da considerare irrealizzabili tipi di gestione ·di imprese poste sotto il controllo dello Stato e tuttavia amministrate con la costante preoccupazione di applicare un prin– cipio di convenienza economica. Ne s s un a e q u i va I e n z a q u i n d.i del principio della libera concorrenza con quello de I I a p r o p r i e t à p r i va t a. II lavoro scientifico di questi ultimi anni tende anzi a distinguere settori nei quali il presupposto della libera concorrenza rende necessaria la ricerca di condizioni di gestione che, per effetto della stessa concentrazione delle imprese, non sono sempre assicurate dalla privata iniziativa. Alludiamo per esempio ~gli studi sulla formazione dei capitali per mostrare che cosa implichi la condizione di equilibrio fra risparmio e produzione di capi– tali tecnici. È emersa da essi la particolare natma dell'impresa bancaria, e come par_ticolarmente la gestione della grande banca richieda una comprensione estre– m!mente vigile e lungimirante dell'interesse dell'impresa, perchè questa possa dirigere la sua politica di credito in modo da evitare di concorrere con la propria azione ad allontanare la situazione di mercato dalle condizioni di equilibrio. Gli studi sulle cris·i economiche hanno pure condotto a più approfondite ana– lisi del fenomeno del profitto. nel quale si tende a distinguere- guadagni specula– tivi e benefici congiunturali da profitti differenziali del produttore a costi inferiori al costo marginale. Da molte parti si sente lamentare che le indagini di economia aziendale diano finora cosi scarso i:ontributo a questa ricerca; ma sintomi del malessere derivante dalla elevata misura dei profitti possono rintracciarsi, fra l'altro, nel succedersi di provvedimenti fiscali tendenti a colpirli quali fossero dei "redditi ", e nella fan– tasiosa ricerca di espedienti finanziari miranti a rianimare il cosi detto circolo dei capitali. Mentre però il fisco con qufsto suo armamentario antiq1•ato non .raggiunge altro risultato che di deprimere l'iniziativa, l'entità relativa dei profitti rispetto all'ammontare complessivo dei risparmi di nuova formazione è tale da far appa– rire sotto una nuova luce la dinamjca dell'impresa, sempre meno adatta a procu– rare un loro investimento economico, convenientemente coperto dai rischi di co!l- giuntura. . Su questa situazione si fondano principalmente le nuove minacce di inter- , venti statali camuffati sotto il manto di realizzazion.i socialistiche, minacce che le flautate e affascinanti evocazioni di un mondo ideale scomparso da parte di emi– nenti economisti non varranno tuttavia a scongiurare. Costoro non sanno d'al– tronde prospettarci generalmente null'altro che un ritorno all'antico, nel ,quale alla benefica concorrenza dovrebbe· essere dato affermàrsi, senza turbare l'assetto attuale della proprietà, mercè il prevalere delle piccole e medie imprese. Pur di vedere appagate queste loro nostalgiche preferènze, quasi commetterebbero l'u-· - 7 - e

RkJQdWJsaXNoZXIy