Il Socialismo - Anno II - n. 9 - 25 giugno 1903

132 IL SOCIALISMO materiale»; e non altrimenti il Persico: 1 « il voto della maggioranza può essere una forma di selezione di quelli che son chiamati ad esercitare una funzione sovrana, ma non è più l'esercizio della sovranità. E' una fun– zione. Altrimenti il sovrano d'oggi che vota divente– rebbe suddito de' suoi pari che, anche volendo, sono superiori solo di numero ... Il numero non è una ra– gione, ma un fatto, un peso, una forza » alla quale la minoranza è costreua bensì a cedere perchè più de– bole, ma non senza essere violentata, al punto tal volta che la lolla si acuisce e degenera in « una gara as– surda di due sovranità ,·enute in urto nello stesso Stato, cioé la guerra civile orgrmi::::ala. » Se è giusto che la maggioranza diriga la società civile, non è giusto che il Governo sia costituito dalla maggioranza: la minoranza. osservava Alberto l\fario, è il cOefficiente necessario del suffragio universale, ed esso deve avere giuridicamente il diritto che moral– mente à: quello di parola. Dal Lewis al Guizot, dal Bain al Palma, in coro gli scienziati ed i filosofi giu– risti chiedono che tale principio, altamente etico e ci– vile, non sia pili oltre disprezzato: urge che la :egge non ricorra alla finzione, per cui si vuol far credere che la volontà generale della maggioranza sia davvero la volontà generale del popolo. « Cento pili uno, come dice il Carutti, avranno ragione sopra cento meno uno; e se i centouno non hanno confini di signoria, che sarà delle minoranza? In astratto e in concreto, in teoria e in pratica, quale sarà la parte riservata al debole? La forza si costituisce in diritto, le enormezze e ini– quità del maggior numero si leg ittimano per sè stesse, il diritto e la libertà dei me.no non trovano più alcun rifugio; poichè i J?ill ten gono in mano le tavole del giusto e dell'onesto, il loro bando è onnipotente, tutti i diritti sono assorbiti nel loro diritto, e alla minoranza non resta altra alternativa che la rassegnazione e la ri– volta» 11 • E' saputo che la divisione dei partiti è un bene ed insieme una necessità: il grado maggiore cli civiltà cui è giunto· un popolo, scrive il Saredo, si rivela pre– cisamente e principalmente nelle diversità dei partiti, diversità che aumenta di numero e di armonia: quanto più un popolo si incivilisce, tanto più i partiti si fanno rigogliosi ed attivi. Questa la verità filosofica che do– vrebb'essere ricordata a coloro, i quali vogliono far credere vi siano partiti che abbiano a scopo il male, la dissoluzione 1 la ro,·ina della società. L'uomo tende al bene ed i partiti sono aggregati di uomini. « Quante volte non abbiamo noi udito parlare di partiti distrut– tori della famiglia, della proprietà, della società? Quante volte non si è ripetuto e non si ripete da certi uomini che essi salvano la società che è sull'orlo cieli' abisso? <<Salvare la so~tà! » esclama il Saredo, 3 « da quando in quà la socielà ha bisogno d'egsere salvata? E da chi? E chiederò con Mirabeau: - voi dite che la società si perde, che è perduta! gran Dio! sotto qual grado di latitudine si è perduta? ne sapreste trovar qualche traccia? - ». Si potrà bensì dire « che, nella stessa maniera che l'uomo può abusare della sua li– bertà facendo il male, cosi può abusarne anche un partito. Ma se è falso che l'uomo tenda per sua na– tura al male, non è meno falso che vi debbano tendere i partiti. Quando ciò avviene non è la regola, ma l' ec– cezione: appunto come per gli uomini; pci quali il .. male _è altresì l' ecée7.ione, ma regola il bene. Se fosse altrimenti, non avrebbe mai esistito una sola società.» 1 Lt rapprtsmta11zt politidte td a111111i11islrlllivt, IX, Xapoli, 1885. 11 Bo:-.AST, // suffragio u11hltrsalt, Il, nelle /Jltmorit, della Re• gia Acc..'ld,Modena, \•ol. XVU, 1877. 3 Pri11ripi di dirillo costilu:.io11alt, 11, 20<\ 5; vedi inoltre : ì\llNCIIKTTI, / po,·lili politici e BI.UN 'fSClll,Y, Dit Poli/il: ols IVisstm(hoft, Xli. Kessun partito à il monopolio di ciò che è esclusiva– mente giusto, vero, buono, ma ciascheduno à una parte maggiore o minore, di ciò che è giusto, vero, buono; quanto maggiore facoltà di esplicazione sarà lasciata a tutti indistintamente i partiti, questi saranno tanto più attivi e però « tanto maggiore sarà la parte che reche– ranno alla composizione del quadro ideale della scienza e della vita politica. » Continua l'illustre giurista: 1 « a coloro i quali si spaventano dei partiti che rappresei1- tano nuove idee, io dico: rispettateli e lasciateli agire: tutte le grandi verità hanno cominciato con essere nuove nel inondo. Ricordatevi che l'intolleranza e l' oppres– sione possono fa r cadere su voi la giusta esecra;,.iont che l'inflessibile giusti7.ia della posterità fa pesare sui persecutori e sui carnefici di Socrate, di Cristo, di Co• lombo e di Galileo .... Quante volte è avvenuto e quante volte avverrà che i paradossi cieli' ieri siano divenuti i problemi cieli' oggi e le verità del domani! » La presenza dei rappresentanti della minoranza nel- 1' Assemblea elettiva è dunque un bisogno sentito, una necessità indiscussa. Sia perchè è nell'aula della Camera che alta e libera suona la parola del saggio e del pra– tico, e di là si ode per tutta la nazione; sia perchè ivi la discussione permette di rilevare e confutare gli errori delle più ,·arie dottrine riflettenti la società ccl i singoli interessi della medesima: sia perchè ogni par– tito possa avere il mezzo cli esercitare quell'importante funzione di controllo, senza cli cui troppo facili sareb– bero gli abusi e la tirannide. Per queste e per molte altre non meno gravi ragioni, il Cavour II affermava che « condizione essenziale d'un buon sistema eletto– rale si è di assicurare alle minorità nella rappresentanza nazionale un' influenza adeguata alla loro importanza reale; » tale il pensiero di quasi tutti i nostri statisti, da Depretis, il quale appoggiò lo scrutinio di lista, favorevole alle minoranze, allo Zanardelli, che contra– riamente al Depretis, disputò vivacemente a favore del collegio uninominale, perchè, dice, 3 lo scrutinio di lista soffoca le minoranze. Contraddizione che vale a dimostrare una volta ancora come i due usati sistemi siano stati dalla esperien1.a condannati. Eppure furono appunto i rappresen.tanti della mino– ranza quelli che nella nostra Camera parlarono contro il diritto eia riconoscersi alla minoranza. li Bovio ◄ ad es'empio dichiarò che, se l'idea delle minoranze « è vera e determinata, queste sono destinate a farsi mag– gioranze in un tempo più o meno determinabile; se muovono da utopie assurde e retrive, sono destinate a sparire. Tale la legge della loro evoluzione. L'alge– bra rappresentativa torna impotente». Giustamente il Palma 5 ribatte che il Bovio, il Marcora ed altri « evi– dentemente confondevano il diritto cli decisione con quello di rappresentanza e dimenticavano per l'impor– tan7.a della rappresentanza delle minoranze, il loro semplice esempio. ~on val niente per l'apostolato e per diventare maggioranza in Parlamento, se ne sono degne, l'esservi rappresentate, il potervi sostenere le proprie ragioni? » Vero è che alla Camera sono rappresentate le mi~ noranze, ma lo si deve al fatto che esse sono, in certi collegi, maggioranza; e la statistica dimostra che i voti perduti sono quasi o tanti quanto gli efficaci 6 . I voti 1 SAtumo, op. rii., 11, 20 1\ 6. 11 Dtlln circoscri:,;011tltllorolt, I, p:ig. 110, Mapoli, 1860 . 3 Atti dtlla Camtro riti Dtputoti, tor. 26 marzo 1881. ,. AIH ùl., tor. 26 m:ir7.o 1881. S Quutio11i costitu:io110/i, 111,5°. 6 Xci 1880 a Fr:incavilla Sicul:i b. maggior.mui ottenne 355 voti contro 338 :ippartenenti a\b. mìnornuz..'\, a Susa 416 contro 407, :i Pescia 518 comro 511, a Th•oli 359 contro 353. Nel 1882 a Torino IV, a Bergamo 11, a Foggia 11, ecc., riesdrono eletti can– did:ui che ave,·ano ottenuto 2000 ,•oti, e meno di 2000 a Napoli Il ed a Grosseto, mentre i candid:tti di Milano l, di Alessandria, d1 Como V, che avevano ouenuto rispettivameote 7686, 6535, 8213

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