Il Socialismo - Anno I - n. 8 - 10 giugno 1902

11. SOCIALISMO 121 SCIENZA ED ARTE Il teatro del pop_olo. Il grido di Gerolamo Rovetta: « Atene ha vinto! >> _ parodia trionfale, che ha sollevato l'ilarità del mondo ar\istico - rivela, pili che una genuflessione cortigiana davanti all'asino d'oro in frak e caramella, la persistenza anche di intelletti non mediocri in una illusione, alla quale solo pochi uomini, eccezionalmente dotati, han saputo sottrarsi. L'illusione, cioè, che la borghesia capitalistica sia in gra 0 do di sostituire, nel campa dell'arte, il mecena– tism~ delle Corti, esercitatosi tanto efficacemente nel Rinascimento. Lo stesso Giuseppe Verdi, cui il successo raggiunto poteva nascondere l'imminenza del problema. non sape\'a vedere nella riforma del teatro d'opera. che una que– stione tecnica da risolvere; ond'è che scriveva. nel lu– glio 1873, a Giuseppe Cencetti, per un nuO\'O teatro in Roma, queste parole: . « So che a Roma si pensa di organizzare il teatro, e vorrei che i riformatori fossero ben penetrati del fatto che il melodramma moderno ha delle esigenze ben differenti da quelle d'altri tempi, che per ottenere il successo, un insieme è indispensabile, e che, per conseguenza, è necessario aflidarne la dire1.ione a due uomini solamente; capaci ed energici: all'uno tutta la parte musicale: cantanti, orchestra, cori, ecc.; all'altro la parte scenica: costumi, accessori, mise eu scèue, ecc. Essi sdli debbono essere arbitri di tutti ed assumerne tutta la res1>0nsabiliU1..Con questo solo mezzo si può ottenere delle buone esecuzioni ed il successo». Ed è tutto quì. Ora, no: quel solo 11u•zzo non basta, e i fatti lo provano. Giuseppe Verdi ci teneva a non essere uomo poli– tico: se lo fosse stato, avrebbe compreso che l'arte è strettamente legata ~ll'economia delle nazioni, o meglio ancora, della società; ed avrebbe presentito l'attuale crisi teatrale, che non è solo d'Itali~, ma di tutto il mondo che i;:isuol dir civile. La borghesia ha fatto bancarotta in arte, come in economia: il classico « lasciate fare, lasciate passare » su cui poggia tutta la dottrina liberista, ha avuto la sua smentita nei ripieghi legislativi che a quel principio contraddicono essenzialmente. La teorica del libero scambio è stata distrutta dai dazi d'hnroduzione, senza i quali - dicono i compe– tenti - perirebbero le industrie e l'agricoltura na– ;donale. La teorica liberista, nel campo artistico, è venuta meno il giorno in cui si è sentito il bisogno di asse~ gnare una dote al teatro. Senza dote il teatro non può sussistere decoros.·unente, quindi la borg-hesia è impo– tente a sorreggerlo per forza propria. Altro che vittoria cl' Atene! Tutto ciò è stato invece preveduto e indicato da un altro sommo dell'arte-da Riccardo \Vagner - il quale, anzichè appartarsi dalla vita pubblica come i suoi col• leghi traeva la propria forza e la straordinaria ampie1.za e penetrazione cli vedute, dall'aver costantement e parte– cipato al moto politico ed economico della società, misurandone il ritmo e gli effetti, per dedurne la ine– vitabile caduta dell'economia borghese, contemporanea– mente alla caduta del teatro borghese. E - guardate combinazione! - dove Rovetta va a cercare l'esemplificazione lusinghiera per i marche• IO e G oR o sini Travasa e i banchieri cli Milano, proprio là Rie• cardo \Vagner, con autorità un po' meno discutibile, trO\'a precisamente il paragone piit schiacciante per la borghesia. « L'arte degli antichi Greci era l'impressione di ciò che si aveva di pili profondo nella loro coscienza na– zionale ... Nel vasto anfiteatro (notate bene) dei Greci si accalcava la nazione intera; mentre nei nostri teatri cli •prim'ordine si radunano esclusivamente i nobili e i ricchi ». - una classe. Ora l'arte che a questa borghesia gli artisti propi– nano, non può avere altre idealità .che quella da cui è animata la borghesia stessa: il denàro. « L'educazione - scrive \Vagner - che noi rice– viamo avendo per fine esclusivo di renderci atti a guadagnar denaro, ci fa essere artigiani salariat;, :!on artisti; giacchè la caratteristica dell'artigiano essendo quella di lavora1·e non per amore di ciò ch'egli fa, ma del profitto che egli ne caverà, una società come la nostra, dove il denaro è il Dio. non può produrre che degli· artigiani». La. cruda affermazione conturba assai i wagneriani non socialisti, tanto che il Noufflarcl, suo devoto am;– miratore, si affretta a notare che in quel punto non parla il grande maestro ma « l'utopista del comuni– smo»: il quale« doveva·sperimentare pili tardi che que• s11. così vituperata società borghes~. sarebbe stata in grado di dar gloria anche a lui mercè la protezione di un re, Luigi 11 di Baviera». Guardate cecità cli questi conservatori ! Citare il caso del re cli Baviera è pro1>rio dare la prova piit luillinosa che - senza un ritorno accidentale al mecenatismo privato - persino la colossale produzione di \Vagner sarebbe forse perita nell'oblio, o per lo meno vi sarebbe rimasta chi sa fino a quando. \Vagner, infatti, era tanto lontano dall'attendersi il subitaneo appoggio cli un re artista - che, dedicando un dramma musicale ai pochi amici, scriveva: « Il pubblico dell'avvenire, per il quale io d'ora innanzi lavorerò, non sarà composto come il nostro mondo artistico moderno, d'aristarchi annoiati, ma di uomini sani aventi un cuore in petto». E questi uomini sani, non potevano certo trovarsi nelle folle eleganti ed avare che si fan pagare dal popolo gli spettacoli di cui esse sole godono, ma nel popolo stesso« pel quale sarà il teatro dell'avvenire». . .. Fin qui le ragioni e la necessità artistica della crisi borghese; segue, anzi vi si accompagna, la fatalità eco– nomica. Quella borghesia, che dell'arte ha fatto un mestiere, non è neppure in grado di pagarselo: le doti comunali e le equivalenti sottoscrizioni cittadine, ne sono la prova, dalle due o trecento mila lire che necessitano per tenere in piedi la Scala, al milione che il Governo francese assegna tutti gli anni all' Opéra. Queste doti, corrispondenti agli espedienti ciel pro– tezionismo per tenere in piedi gli industriali, rappresen– tano la bancarotta artistica della borghesia. Dovrebbe il popolo lasciar cadere la produzione industriale e artistica, solo perchè la borghesia ha faJ. lito alla sua duplice mèta? O dovrebbe far calcolo sul mecenatismo intermit• . tente delle corti o dei privati? È assurdo il pensarlo; quindi il problema, per l'arte come per ogni altra categoria dell'attività umana, ha questa unica soluzione: spostare il governo della pro– duzione, dalla borghesia' alla collettività. Pc! teatro, vedremo la prossima volta, come lo !'-i possa. Guido Podrecca,

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