Il Socialismo - Anno I - n. 3 - 25 marzo 1902

IL SOCIALISMO 35 C'è invece chi si preoccupa più dell'avvenire e della coscienza di classe da educare, rafforzare, so– stenere, compiendo anche il dovere di resistere alle tentazioni utilitarie di fronte a chi non sappia che cedere alle preoccupazioni egoistiche dei migliora– menti ottenuti, e dal tornaconto dell'oggi si lasci ta– gliare i nervi per le lotte future. Giacchè chi sa elevarsi al disopra di queste im– pressioni del momento, non può dimenticar di pen– sare che le stesse magre, stentate riforme che si ven– gono ora racimolando per istrada, non sono che il frutto di quella preoccupnione dell'avvenire che eb– bero tutti i socialisti italiani dal Congresso di Ge– nova (1892) sino al 1898-99. Si miete ora, e sem– pre magramente, quello che si (:. seminato nel de– cennio decorso. Sicchè se ora tutto il Partito socialista si abban– donasse ad una corrente quietista e riformista, fra qualche anno, non altre riforme nè ,·antaggi civili ne ritrarrebbe, ma l'abbandono del proletariato e la noncuranza della classe dominante, che cede sem– pre, anche quando sembra concedere - e non cede– rebbe più quando vedesse il proletariato colpito da una paralisi della coscienza e della volontà. l\on per guesto noi crediamo che si debbano accusare di tradimento i nostri compagni, che per temperamento meno combattivo o per suggestione di ambiente locale o per impressioni attinte meno direttamente al contatto coi lavoratori, credono di aprire l'ombrello ministeriale appena qualche nube si presenta all'orizzonte e consigliano una sosta sotto quell'ombrello per evitare la pioggia o la grandine, che il più spesso non vengono nemmeno. Essi compiono una funzione non inutile nè ste• rile del tutto, nella vita del Partito socialista. Essi sarebbero un pericolo vero soltanto se fossero soli; cessano di esserlo guando alla loro si aggiunge l'opera degli altri, che continuano a tener viva la fiamma dell'ideale socialista e nulla sperando dalla genero– sid dei dominanti, tutto domandano alla cosciente organizzazione del proletariato in partito di classe. Enrico Ferri. PROBLEMI SOCIALI Un esperimento di colonizzazione nell'Italia meridionale. Nell'ultima discussione parlamentare sul Mezzogiorno una provincia che è di gran lunga la più estesa dell'Italia meridionale, la Basilicata, venne paragonata all'Irlanda; e io non so veramente se si trovi al disopra o ai di– sotto del termine di paragone. L'ultimo censimento ha rivelato che la popolazione vi si è ridotta di poco meno del decimo; e questa diminuzione, tanto più impres– sionante quanta più si consideia la cifra elevata che raggiunge la natalità nella regione, è l'indice più elo– quente di tutto uno stato economico e di tutto un com- plesso di condizioni di esistenza, divenute incompor– tabili. I malanni del Mezzogiorno si rivelano in Basilicata nello stato più acuto; ed è perciò più interessante stu– diarli ivi, sia sotto l'aspetto teorico per averli sott'oc– chio in forma più caratteristica e più appariscente, sia sotto l'aspetto pratico per valutarne meglio la portata e le cause e gli effetti, prossimi e remoti, e per comin– ciare di là l'esperimento di qualche rimedio più urgente e di più immediata attuazione. lo tornerò ancora ad occuparmi in queste colonne della questione del Mezzogiorno, nei suoi aspetti più generali e più particolari : ora, - e non è inutile cir– coscrivere, tratto tratto, a punti singoli l'argomento - voglio occuparmi di un esperimento di colonizzazione che ho avuto agio di osservare da vicino nell'estate ultima e che mi sembra degno di ogni attenzione. Su di un lembo ultimo della Basilicata, al confine delle Puglie e del Principato Ulteriore, si erge con tutte le attrattive cli un solenne spettacolo naturale, un vul– cano spento, il Vulture, nudo nelle sue ultime cime, fasciato, in parte dei suoi fianchi, da antichi ed este– sissimi boschi, che digradano fin verso l'Ofanto, nella cui valle si sviluppano ora le linee delle ferrovie ofan– tine. Chi, partendo dalla stazione di Monteverde, ascende la pendice del monte e s'addentra nel bosco di Mon– ticchio, volgendo le spalle alla gialla, monotona, deserta valle del fiume, si conforta della vista cli una campagna sempre più verdeggiante e feconda, qua leggermente acclive, là pianeggiante, ricca a dovizia di vegeta– zione e di belle acque correnti, che, ora si riuni– scono in laghi tersi e raccolti a specchio dell'antico Mo– nastero, ora fluiscono in ampi e bei ruscelli; e se, at– tratto dalla seduzione dell'ascesa, giunge alle ultime cime, dovunque si volga, il suo occhio spazia su un orizzonte interminato sul piano pugliese, che va a con– fondersi da un lato con il mare, dall'altro con i con– trafforti dell'Appennino. E' nelle larghe zone diradate e dissodate di questo bosco, in una tenuta dell'estensione di oltre cinquemila ettari, che ha avuto luogo e si prosegue l'esperimento ora assai ben riuscito di colonizzazione, a cui ho ac– cennato. Chi attraversa la Basilicata è colpito specialmente dall'aspetto triste e desolato di lunghi tratti di paese senza un albero, senza un ca~olare e la cui monotonia è rotta appena da qualche lontana cima boscosa o da qualche lontana borgata arrampicata su qualche greppo o rifugiata in qualche vetta. Al Franchetti, che la per– correva quasi trent'anni addietro, queste rase campa– gne, che nella :c-;tagionemorta hanno tanto più l'aspetto di lande sconsolate, facevano l'impressione di un paese devastato da un'o1·da d'invasori, o di una di quelle re– gioni, non ancora t6cche dalla civiltà, dove si coltiva la terra per abbandonarla subito e passare ad una più feconda eia sfruttare. E tale ancora rimane lo stato delle cose, peggiorato anzi dallo spopolamento delle campagne, che fa riscon– tro alla cresciuta emigrazione. La mancanza di capi– tali o della convenienza d'impiegarli nella terra ha la– sciato immutato ed ha reso persistente uno stato di cose, dovuto originariamente al brigantaggio, alla malaria e, più di tutto, a un modo cli produzione tutto primi– tivo, che si risolveva nel pascolo libero e nello sfrut– tamento più rudimentale della terra. Il contadino di Basilicata, come della massima parte dell'Italia meri– dionale, meno pochissime eccezioni, vive lontano dal campo che coltivtl, nell'interno della borgata in abi– turi solitamente malsani, che in qualche luogo sono vere tane, al disotto del livello del suolo. E questa di– mora in un centro abitato, che alla bella prima sem– brerebbe dovesse conferire al suo sviluppo mentale e al suo progresso sociale, riesce ad un effetto contrario

RkJQdWJsaXNoZXIy