Il Socialismo - Anno I - n. 1 - 25 febbraio 1902

Anno I. Roma, 25 Febbraio 1902. N. 1. IL SOCIALISMO /2..V Rivista qoioòicinaleòiretta da ENRICO FERRI c-2/" ATTUALITÀ POLITICA Il discorso della Corona. t uno dei soliti programmi di promesse, che « da quarant'anni » oramai sono ostinate cosl nel ripresen– tarsi, come nel non realizzarsi mai. Lo confessa can– didamente lo stesso discorso a proposito della « si– curtà di oiuridiche guarentigie >) a quegli impiegati, cui fratta~to, in attesa delle promesse, si minaccia la militarizzazione, si impone la livrea e si nega il di– ritto di organizzazione economica. Del resto, i soliti ingredienti: la Casa - gli Umili - I' Esercito. La prima e l'ultimo molto applauditi, ieri, in quel– l'aula reazionaria del Senato, dove il genio di Pellou~ al tempo dei decreti-leggeha ridotto le inaugur:1zioni del Parlamento, da quando la paura che i socialisti intervenissero ad acco 0 liere il re col grido Viva la libertà.! gli fece abbandonare la grande aula di Mon– tecitorio, facendola credere crollante, mentre aveva resistito pochi mesi prima ad un forte terremoto, sic– chè per abbatterla ci vollero molta fatica e parecchio danaro. La Casa e l'Esercito - i due cardini della politica italiana, racchiudenti una smorta parentesi di rifor– mette, passate fra il silenzio dell'uditorio selezionato come passeranno fra le delusioni del popolo italiano. * * E, come programma di Governo e di lavoro le– gislativo, il solito difetto, da me rilevato anche quando, nel dicembre 1 900, parlai, alla Camera, del nuovo regno: troppo e troppo poco. Troppo: perché allo scorcio di questa legislatura riforme tributarie, legislazione sociale, cc radicale ri– formagiudiziaria, » divorzio e ricerca della paternit:\, stato degli impiegati, lavori straordinari per Roma, provvedimenti per Napoli, legge sui monumenti, acquedotto pugliese, municipalizzazione di pubblici servizi oltre i bilanci e gli altri disegni di legge, non menzionati nel discorso, ma urgenti - se non altro come erba trastulla - non potranno evidentemente essere, oltre le secche del Senato, recati in porto. Troppo poco: malgrado l'affermazione ormai di prammatica delle « prospere condizioni dell'economia nazionale e delle finanze dello Stato, " come se non si sapesse che i milioni di avanzp son dovuti alla imposta sul grano, che nel 1900, per un' importa– zione di quasi I milione di quintali ha dato, toglien– doli al pane quotidiano dei lavoratori, 70 milioni, senza dei quali il bilancio sarebbe passivo! Come se ndb stessa ultima esposizione finanziaria (pag. 14) non si constatasse che il consumo medio dello zuc– chero e del caffè per abitante da kg. 3.1 5 e o. 50 nel decennio 1881-90 è disceso a kg. 2.6 3 e 0.42 nel I 890-900. E come se a Napoli, per esempio - mentre la po– popolazione cresceva da 48, ,ooo nel 1881 a 580,000 nel 1900 - il gettito del dazio consumo non sia di– sceso da 17 milioni nel 1888 a 15 milioni nel r 900: cioè una riduzione della già scarsa razione giorna– liera - simbolo doloroso di una grande città stretta dall'assedio della misaia ! E la riduzione di 10 centesimi per chilo di sale, che torrit da I 5 a I 7 milioni al bilancio dello Stato, senza sollievo sensibile alle misere popolazioni, cui molto meglio o-ioverebbe un po' pii.1 di pane a buon mercato, anzichè rendere piì.1 salato il pane troppo scarso, perchè troppo gravato dalla più alta tarifl,1 doganale che esista nel mondo. E i lavori pubblici per Roma e i prov,·edimenti improrogabili per Napoli (fra i quali però anche I' inu– tile direttissima) e l'acquedotto pugliese, altrettanto urgente (ma che costerà dai 150 ai 200 milioni) dove troveranno i milioni necessari? O è una burletta o sarà un dissesto. Finchè non si decidano a smettere questo indirizzo eunuco di vel– leità politiche: velleità liberali con la famosa andata della sinistra al potere nel 1876 - velleità.co ,mrvatrici, nell'altalena dei rapporti ora melliflui ora bruschi colla Chiesa cattolica, che frattanto, scartando essa pure le proprie velleità democratiche, si presenta al mercato come ancora la forza pili reazionaria, che il capitalismo possa illudersi di comprare, contro lo spi– rito ribelle del proletariato e della magra borghesia - velleità. imperialiste, nell'Africa e in Cina, (e ora si buc– cina in Trjpolitania), dove l'Italia, senza un trentennio di arricchimento industriale (come fecero l'Inghilterra nella prima metà e la Germania nella seconda metà del secolo xix) non può fare tra i lupi nhggiori che la figura del vorrei e 11011 posso. Politica di velleità, che dà l'anemia cronica, non sapendosi decidere - poichè le forze non ci sono per un esp:msionismo 111ilitarista - ad un progratnma di raccoglimento e di rigenerazione, che solo permet– terebbe così il mantenimento di quelle promesse come l'espansionismo cornmerci:1le, il solo utile e fecondo. Politica di raccoglimento, anche nella politica este– ra; mentre ancora si affermano, in questo discorso, « la fedeltà alle nostre alleanze" (leggi la Triplice) e "i vincoli delle cordiali amicizie " (leggi la Francia); cioè, ancora una volta, velleità di ibridismo diploma– tico, che non scema nè gli aggravi militari nè le reci– proche diffidenze.

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