RE NUDO - Anno X - n. 75 - aprile 1979

RE NUD0/8 Dietro il quadro dell'Iran intervista con l'inviato speciale a Teheran Carlo Panella Nell'aula magna di una scuola di perife– ria i commercianti di tappeti iraniani avevano organizzato un incontro col pubblico milanese sul tema del nuovo Iran. Un grande striscione bilingue sul palco diceva: "La vita è lotta per l'idea". Davanti a esso si sono alternate proie– zioni di diapositive della rivoluzione, strumentisti che eseguivano brani di musica iraniana tradizionale, donne con fazzolettoni bianchi annodati sotto il mento che mescevano gratuitamente be– vande analcoliche, e Carlo Pane/la che ha fatto una sintetica cronistoria degli ultimi quattro mesi in Iran. Gli abbiamo posto alcune domande. Che cosa della realtà iraniana di questi mesi ti sembra sia rimasto fuori dal tuo ritratto dal vivo? Per quello che riguarda gli articoli e tutto il mio lavoro giornalistico sull'I– ran ci sono state in realtà due grosse censure: una censura riguarda l'impos– sibilità di comprendere la realtà pro– fonda del movimento, e la conseguente necessità di andare per simboli. La simbologia come chiave di lettura è molto facile in. Iran per la sua innata teatralità. Homeinì il Bene e lo scià il Male hanno avuto all'interno di questa lotta politica un cosciente ruolo scenico. I soldati che prima dell'arrivo d~ll'aya– tollàh girano su mezzi blindati per la città sono un fatto scenico. Fatti scenici corali, collettivi, usati da entrambi gli schieramenti. Un limite del giornalista può essere quello di accontentarsi della "scena", descriverla senza iniziare una ricerca di quello che gli sta dietro. La mia scelta è stata di non cercare in Iran una chiave di lettura di classe a tutti i costi, convinto che non fosse questo ciò che determinava il movi- mento reale. Ero alla ricerca di ragioni più profonde, ideologiche, culturali, religiose, forse quelle millenarie che stavano dietro al quadro dell'Iran. L'unica cosa chiara che avevo potuto cogliere della religiope sciita era il suo sincretismo, che è alla base stessa della sua fondazione, e che ne ha potuto realmente fare un'ideologia usabile in termini di liberazione. Lo sciismo come ideologia egualitaria tra gli uomini nasce storicamente come un grande crogiolo di tutte le dottrine del dissenso (come diremmo oggi nel senso del dissenso sovietico, di quel dissenso che si crea all'interno degli imperi), dottrine che si ebbero tra il VII e il XII secol_osia all'interno dell'impe– ro di Bisanzio contro la statizzazione del cristianesimo, sia all'interno della tradizione giudaica, del buddismo in– diano e dell'impero cinese. Per esempio, ogni volta che c'era un concilio e una setta eretica si opponeva all'ortodossia di stato (i nestoriani, i monofisiti, ecc.) alcuni dissidenti anda– vano esuli in Persia, essendo quello persiano l'impero direttamente concor– rente a quello di Bis.anzio, e vi trovava– no solidarietà e aiuto, contribuendo così a creare quella base culturale su cui si innesterà lo sciismo. E all'interno del mondo mussulmano la tradizione sciita si troverà sempre a vi– vere situazioni di opposizione, situa– zioni di oppressi che assorbono le ideologie di altri oppressi. Sapevo che non a caso dopo il '63 Ho– meinì e alcuni altri avevano puntato alla rinascita dello sciismo (che si era molto fossilizzato negli ultimi tempi) di nuovo con una operazione di sincreti– smo, accogliendo sia l'elaborazione politica e ideologica che in tutti questi anni si è avuta all'interno della grande parte sunnita dell 'lslam (all'Università del Cairo, _in Arabia, ecc.) sia quella portata avanti da alcuni uomini all'in– terno del movimento operaio europeo, come Banì Sadr che è un profondo co– noscitore di Gramsci. Ma anche questa chiave mi è servita poco. Perché il vero problema irrisolto (e qui si entra nella seconda parte della cen– sura di cui dicevo) è il rapporto con la morte. Questo non me lo potevano chiarire né le mie letture, né il parlare direttamente con la gente. Non ci sono dubbi che abbiamo assi– stito a uno degli episodi più sconvol– genti della nostra epoca riguardo al rapporto tra vita e morte, ben più • sconvol,gente di quanto non sia stato il suicidio collettivo della Guiana (che era di tutt'altro segno). In Iran vi è stata l'accettazione co– sciente da parte di milioni d'individui del subire la morte in nome di una lotta contro la dittatura, che in realtà, anche se ferocissima, a livello di condizioni di vita distribuiva reddito. Il commer– ciante del bazar che rischiava in prima persona la vita nelle manifestazioni, che rischiava i suoi capitali pagando per quattro mesi a tutti i dipendenti del bazar compresi i contrabbandieri e i ladruncoli un salario che ha loro per– messo di sopravvivere, che attraverso la "cassa islamica" dava soldi ai figli dei martiri, agli ·operai del petrolio per continuare la lotta, ecc., questo com– merciante doveva avere un'ideologia in testa. Aveva sì qualcosa da conquistare, ma anche da perdere, perché questo Islàm per quanto riguarda il processo di accumulazione capitalistica pone dei problemi. Questo non poteva che porre a te gior– nalista degli interrogativi angosciosi. Di fronte a tali fatti la loro cultura, quella che puoi leggere nei libri, non spiega molto. O forse è la chiave di volta in– vece, non lo so, ho dei dubbi. Quando ho chiesto a un ayatollàh di Masciàd se pensava possibile andare avanti ancora per dei mesi con ques~o livello di massacro senza passare alla lotta armata, lui rispose: "penso che la lotta armata permetta delle vittorie più pure, ma crediamo che in questo mo– mento non ce ne sia bisogno, crediamo che attraverso questo comportamento di piazza, questo subire coscientemente la morte, riusciremo a spaccare la testa

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