RE NUDO - Anno IX - n. 62 - febbraio 1978

RE NUD0/52 Racconto 11Voltapagine - Volta. Max si alzò dalla poltroncina, sollevò leggermente l'emisfero luminoso della lampada da tavolo, infilò delicatamente la mano sotto la larga pagina miniata e facendola ruotare l'accompagnò a posarsi piano sull'altra metà del librone. Passò due dita esperte lungo l'attaccatura del foglio, per farlo restare ben aderente alla risma irregolare e già spessa dei preceden– ti, risistemò la lampada e tornò a sedersi, accompagnato da un grato e fuggevole sorriso del vecchio che gli stava a_ccanto, coperta sulle gambe, a leggere con infini– ta attenzione il gran libro. Il salone era immerso nel silenzio. Max pensò un attimo se fosse il caso di met– tersi la cuffia; c'era tutta la musica che si voleva: bastava sapere il nome del pezzo, dell'autore o del genere preferito e com– porlo sulla tastiera incastonata nel brac– ciolo: un calcolatore provvedeva a tra– smetterlo in stereofonia, limpido e privo di qualunque disturbo. Ma in quel mo– mento preferì tornare ad abbandonarsi a quell'assopimento dolce in cui trascorre– va la maggior parte del suo lavoro alla Biblioteca. La penombra lasciava appena -intravvedere le statue armoniose che dalle loro nicchie raccontavano miti d'altri tempi, come vegliando, nella loro mono– tona fissità, sugli scaffali tarlati e incurva– ti da migliaia di libri che tappezzavano tutte le pareti, fino all'alto soffitto perso nel buio. Dietro ai vecchi, tutti bianchi di barba e scurissimi d'abito, le elaborate figure intagliate negli schienali disegnava– no ombre nette e mostruose sui cuoi rossastri dei codici degli scaffali più bassi, occultando o svelando i fregi e i caratteri sconosciuti incisi sulle coste lise dalle mani di innumerevoli generazioni di eru– diti. A volte Max giungeva a chiedersi se gli avrebbe dato piacere il suono di quei segni astrusi, letti da uno che li sapesse decifrare. Ma il più delle volte non si chiedeva nulla, e accoglieva serenamente la mono– tonia del lavoro pensando a quanto peg– gio doveva essere lavorare per esempio al grande riciclatore, come il suo vicino di casa, o peggio ancora, essere senza lavoro e finire dentro il riciclatore. In ogni modo, non sarebbe durato molto. Era un bel po' che il Governo Centrale aveva dato corso all'Operazione Cultura, e i vecchi dovevano essersi ormai ficcati in testa quasi tutto il Sapere. Le mutazio– ni ambientali causate dalla catastrofe eco– logica strisciante avevano ridotto tutti quanti senza memoria, a parte quella memoria "facile" che consentiva di ricor– dare il minimo indispensabile alla soprav– vivenza; alcuni rari vecchi ne erano rima– sti invece quasi totalmente paralizzati, ma la memoria gli si era al contrario rafforzata a dismisura, sicchè non poteva– no più dimenticare nulla. E così era accaduto che, nella prevedibile imminen– za dell'estinzione della specie, il ministro della cultura aveva assunto la più che disinteressata iniziativa di dislocare un migliaio di quei preziosi vecchi nelle mag– giori biblioteche del mondo, col program– ma di spedire poi i cervelli al Polo Sud, a preservare per improbabili esseri del fu– turo un compendio ragionato di cultura umana, congelato in un metro cubo di cristallo. La gente comune di tutto questo non sapeva nulla; si operava in segreto, e in più tutto quello che trapelava finiva nell' oblio nel giro di ventiquattr'ore. Qualcu– no sapeva. certo, ma le pastiglie di Me– morvit venivano consegnate con estrema parsimonia e solo a pochissimi, con crite– ri che restavano oscuri anche a quei pochissimi. Max passava avanti al riciclatore della sua città ogni mattina andando alla Bibliote– ca. Dopo qualche secolo di sperimenta– zioni scoraggianti la gente si era stufata di tutti gli anticoncezionali, cosicchè il tasso di natalità era salito alle stelle, e la disoccupazione gli era andata dietro. Esaurite ormai da tempo le materie pri– me, e spento ogni desiderio di nuovo possesso con la grande ondata di benesse– re che era seguita all'unificazione del mondo sotto il Governo Centrale, anche volendo, nessuno avrebbe potuto dare un lavoro alle masse sterminate che in certe zone minacciavano quasi di far sprofon– dare il terreno sotto al loro peso. L'unica soluzione, dopo lunghi conciliaboli di potenti, pubblici dibattiti ed inchieste, era sembrato il riciclaggio. Tutti gli indi– vidui che non avessero un'occupazione utile alla collettività, al compimento dei trent'anni venivano avviati ai riciclatori: erano accolti cordialmente, sottoposti ad una piacevolissima intossicazione progres– siva con una miscela delle droghe più perfezionate, e morivano col sorriso sulle

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