RE NUDO - Anno VIII - n. 53 - maggio 1977

dei visionari ML? Perchè « l'oriente è rosso bla bla » è solo uno slogan mentre il movimento dei detenuti esi– steva davvero e non era scuola di rivoluzione (ma cosa vuol dire?), ma duro tirocinio, scoperta dell'altro, momenti di solidarietà-amore. E anche le comuni, il sexpol, l'erba e i nostri incontri esistevano realmen– te ed erano ( o potevano essere) pun– ti di forza nella nostra vita, ma nella loro relatività, con calma, senza pro– muoverli a traguardi. Ci sono molti modi di distruggere le cose e uno è quello di gonfiarle fino a farle scoppiare. In fondo il trion– falismo è uno dei tanti assassini della dialettica. Dopo i celebratori del « movement » quelli del riflusso: eccoli che san– tificano le feste rivolu– zionarie, beatificano i compagni ammazzati, in– titolano vie e scoprono lapidi. Mesta e impo– nente celebrazione di una resistenza mai vinta. Adesso ai primi germo– gli forse, di una nuova primavera ancora tutta da vivere, eccoli già sui carri a inneggiare al « movimento II». Ci restituiscono fram– menti di noi, della no– stra vita che non rico– nosciamo più, ci spiega– no le nostre azioni - è quasi Jannacci - sen– za farcele capire. Così i nostri amori fragili e i nostri combattuti egoi– smi diventano «l'alterna– tiva alla famiglia cellula dello stato borghese ». Il compagno ucciso in piazza si trasforma in un grumo di certezze eroi– che e la riappropriazio– ne di una banda di quartiere diventa « lo scontro delle masse emarginate contro il re– gime dei sacrifici e la strategia sindacale ». Certe volte c'è di peg– gio che sfiorare la real– tà. Ma loro non resi– stono. Forse un modo per trovare sicurezza: se si costruiscono gli archi di trionfo, forse una superidentificazione per illudersi di partecipare alla potenza e alla ma– gnificenza del gigantesco collettivo. Disperazione e desiderio di avere co– struito qualcosa di grandioso e im– perituro in una situazione che appiat– tisce tutto a piccoli ruoli di morte: poveri amori, piccoli lavori, tempo inutile che co"e via. E le radici for– u nell'infanzia quando gli adulti in– vestono sul futuro uomo (donna): tu sarai, farai, dirai... E l'essere bambino non come uno stato (di grazia), ma MA ..ROMEO RE NUD0/17 come un apprendi-stato (di merda). L'adulto-centrismo che genera mega– sogni? Aprire gli occhi: cercare sicu– rezza nella comunione del dubbio, nella solitudine condivisa, in una lot– ta che di sicuro ha solo la sua storia e la sua necessità; lasciare respirare la speranza senza comprimerla nella fede. Nello spegnersi delle religioni sono le chiese a resistere e allora la disperazione è meglio cercare di com– batterla che di esorcizzarla. PERCHÈ SEI MORTO? ' . Questa è la. testimonianza di uno di noi che ha conosciuto il compagno nappista Sergio Romeo in diversi momenti della sua vita e delle sue scelte. Arrivò a Roma a casa mia diritto dal carcere, l'avevano rilasciato. In tasca la lettera per me di un compagno detenuto, come cre– denziale. •Mi chiamo Giuseppe Romeo ma voglio essere chiama– to Sergio•. Non voleva tornare a casa sua in provincia di Avellino: ·sua madre era morta da tanto tempo e col padre non si trovava bene. Rimase da me. Non sapeva quasi fitaliano, un dialetto stret– tissimo, corrugava la fronte nello sforzo di farsi capire, poi si apri– va in un largo sorriso sconsola– to. Aveva 17 anni, 3 di carcere e un passato di banda di bambini a rubare nelle case. «Quando final– mente ho compiuto 14 anni sono stati tutti contenti di potermi ac– ciuffare•. Non mi parlò mai della sua povertà, del resto parlava malvolentieri della sua vita di prima; quello che contava per lui erano gli ultimi tre anni e soprat– tutto gli ultimi mesi, a contatto con un nucleo di compagni car– cerati. Flero della sua andatura da guap– po, le braccia energicamente spinte avanti e indietro e il pas– so lungo e molleggiato, andava a comprare li latte con un'impen– nata di autoironia: «Se ml vedes– sero a Napoli avrei perso la fac- eia: un guappo che va a compra– re il latte!• Però spesso, mentre ero a lavorare, metteva mio fi– gi io in carrozzina e lo portava ai giardini. Quando conosceva qualcuno che era stato in carcere la sua bella faccia chiara si illuminava come altri incontrando un paesano o una persona di famiglia. Alle riunioni del collettivo carceri sta– va concentrato che sembrava soffrisse ma si rifiutò sempre di scrivere ai compagni detenuti e ogni volta diventava rosso e cor– rucciato per la tristezza di non essere capito. Leggeva però avi– damente tutte le lettere che arri– vavano a me e giornali e libri che sceglieva fra i miei. Una vol– ta durante una chiacchierata gli citai una frase di Malraux de «La condizione umana • • Non era belga, era disgraziato•. Volle su– bito leggere il libro. Un'altra vol– ta gli vidi fra le mani •le lettere del condannati a morte della Re– sistenza • «Hai visto - gli dissi • quanti uomini preziosi abbiamo perduto?• «Servivano morti•. In quel periodo la sua intelligenza era impegnata ad assimilare no– zioni, esperienze, emozioni per trovare poi uno sbocco alla sua vita. In lui questo processo era

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