RE NUDO - Anno VII - n. 44-45 - agosto-settembre 1976

PRIMO RIASCOLTO Dunque parliamo di musica. O forse cerchiamo di cominciare a parlarne. Quanti si sono ac– corti che solo sul palco centrale del Lambro ci sono state più di venti ore di musica (senza con– tare gli intervalli), altrettante sul palco animazione, innume– revoli di tipo spontaneo sui prati · e tra le tende? La musica c'è stata e tanta. Ci sono anche pa– recchi nastri registrati che biso– gnerebbe sentire a lungo, capi– re, analizzare. Perchè si conti– nua a vivere in un'orgia di musf– ca, però non se ne parla mai. Qualcuno ha detto che al Lam– bro non c'era una proposta mu– sicale. Infatti non c'era, c'era della musica e basta. Non sia~ mo noi quelli che possono (nè vogliono) organizzare una Biennale della Musica Italiana, con tutti gli stand delle varie tendenze collocati in bell'ordi– ne. Le nostre scelte o non– scelte musicali hanno parteci– pato dello stesso caos di cui hanno partecipato le scelte/non-scelte della gente. 11 finale del Festival suonato dagli Area si chiamava guarda caso «Caos» anche se francamente non pensiamo proprio che di questo possiamo farcene una bandiera. Comunque: la musica c'è stata, tanta e confusa, le reazioni del– la gente e dei musicisti anche. 11· tutto è ampiamente docu– mentato. Vogliamo partire da qui per una analisi del contenu– to delle cose dette e suonate e anche del loro ascolto? È un la– voro lungo che richiederà pa– recchio tempo: per intanto però si possono già dire alcune co– se. Si ha l'impressione, sentendo i nastri,· d'essere di fronte a un paradosso: da un lato si resta meralligliati. «Ah! Ma allora la musica c'è stata veramente! Senti che bello questo brano ...» eccetera. D'altro lato non si può fare a meno di notare che diminuisce l'apporto originale del musicista. Cioè si capisce che in quella situazione li anzi– tutto la musica era frutto di una conquista (sulla polizia, sulle nevrosi, sulla pioggia, sui mi" crofoni e gli impianti) e quindi quando veniva fuori respirava e traspirava. sapore di liberazio– ne, ma che in un secondo mo– mento questa liberazione di– ventava «ideologia dell'unità» cioè alla gente non interessava tanto liberarsi quanto dirsi liberi e uniti (cosa che non era) e al– lora la musica diventava bandiera-feticcio-ideologia e diventava facile, spesso bana– le, al minimo delle' possibilità creative. Si ha proprio questa sensazione nell'ascolto dei na– stri (ascolto più distaccato, è ovvio, da quello fatto dentro il festival): sulle prime si rompe il muro dell'impossibilità di comu– nicare, si assesta il suono, si comincia a balbettare musica, poi ci si lascia andare un attimo nel flusso ci si rilassa e si crea, poi monta l'esigenza di chiude– re di arrivare alla «partecipazio– ne» della gente di sentirla non come «vibrazioni» ma come «applausi» perchè qui «parteci– pazione» coincide con «succes– so» e allora i musicisti si tra– sformano ancora e diventano abilissimi ma come vecchi mar– pioni, tirano fuori tutti i conigli che hanno nel cappello, ma pur sempre conigli da prestigiatori mezzi spelacchiati e riverniciati ogni mattina. E ci sono cascati più o meno tutti anche il Don Cherry, anche il Toni Esposito, anche gli Area con la solita or– mai tristissima e sputtanatissi– ma «Internazionale» suonata al– le quattro e mezza del mattino alla fine di un Festival che non solo aveva dimostrato che di «Internazionale» proprio non c'è caso di parlare, ma nean– che di «Nazionale», neanche di «Regionale», neanche di «Parti.– to» nè di «Gruppo» e che i tra– guardi unitari sono lontani e og- gi ideologici. Qualcuno ha creato delle unità diverse, unità magari di meno gente, coaguli ancora poco chiariti, ma certo non ideologi– ci, frutto di «sorpresa» non di «scontato»: Roberto Cacciapa– glia tanto per fare un nome, complice una tastiera che non riusciva a funzionare ha im– provvisato il suo concerto la– sciando il massimo spazio all'o– boe, al fagotto, al violoncello, strumenti «naturali», suoni di– versi, che dopo tanta elettricità arrivavano a portare un vento nuovo, comunque un minimo di «sorpresa». Bambi, un altro, con cinque chitarre acustiche fregandosene delle 'bizze dei microfoni, oltre le disfunzioni dell'impianto cercando non l'impossibile perfezione, ma la comunicazione. Anche il Ca– staldi a suo modo che alle quat– tro di notte ha modulato al mi– crofono il suo solfeggio parlato neo-dada provocando fischi, ri– sate, applausi, lacrime dal ride– re, anche qui «provocazione» ma gioiosa, festiva, e «sorpren– dente». Non equivochiamo: non stiamo facendo le pagelle dei buoni e dei cattivi. Stiamo cercando di capire perché certe azioni, perché certe reazioni, come l'ambiente si mutava in musica e la musica sapeva o non sape– va creare un ambiente. Si tratta oltretutto di prime impressioni, però una cosa è certa: dentro ambienti di questo tipo si va 27 aprendo la strada a una divari– cazione, da una parte lo «scon– tato» inteso magari anche co– me gratificante, coinvolgente, apparentemente funzionale (ma a livelli più profondi anche avvilente per l'intelligenza di chi ascolta e avvilito per le poten– zialità reali di chi suona, e poi ancora: tanto più «partecipato» quanto più «mercificato» e allo– ra che partecipazione è? Alla merce, al prodotto); da un'altra parte la «sorpresa», il «suono», la «musica», anche una dose di passività (chi ha detto che non bisogna mai essere passivi? probabilmente qualche ma– schio virile) strada questa an– cora confusa che ha bisogno di precisarsi e di uscire dalla cor– nice obbligata delle super– manifestazioni di massa non per l'ennesimo ripiegamento elitario ma perchè comunque la dimensione obbligata, struttu– rale di queste super– manifestazioni è di produrre ideologia. Nessuno dei cantanti e dei musicisti che hanno suo– nato al Festival sono stati com– pletamente da una parte o completamente dall'altra, però tutti hanno sentito dentro que– sta frontiera, questa scelta con– tinua che veniva riproposta ad ogni secondo, a ogni sospiro che giungesse dal «buio di mas– sa» di fronte al palco, a ogni tamburello che dal palco deci– desse di muoversi o di tacere, di stabilire un rito ideologico o di cercarne la rottura. G.M.

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