RE NUDO - Anno VII - n. 43 - luglio 1976

4 Ciao compagne, non c'è un motivo logico per cui vi scrivo; lo faccio solo per sen– tirmi un po' vicino a gente in cui credo, che amo e che ammiro. Mi sento incazzata, follemente incazzata. Se avessi un fucile in mano farei la rivoluzione contro tutti gli uomini sciovinisti, bor– ghesi e fascisti. Perché io don– na, giovane, studente, figlia unica, io che la mia condizione di piccolo-borghese, non l'ho mai cercata e ho sempre rifiu– tato, perché io devo sopportare tutti questi ruoli e queste op– pressioni? Vivo in una famiglia, borghese come tutte le altre, con un pa– dre idiota; non è fascista, peg– gio, è privo di ogni senso di ob– biettività, di spirito dialettico. Povera mamma! È così sfrutta– ta e non se ne rende conto! Mio padre le fa da padrone nel lavo– ro, nella spesa, nel governo della casa, nella sessualità, nella famiglia, e lei continua con parole gentili e rassegnate a non urlare e a non dare dello «stronzo» a mio padre ormai vecchio e decrepito. Ma che colpa ne ho io se lo odio? Mi fa pena, schifo, vomi– to, rabbia ... non lo so nean– ch'io. A volte desidero ardente– mente che muoia, perché muoiano con lui tutti gli atteg– giamenti sciovinisti, tutti i secoli di _oppressione {di ogni genere, da quella maschile a quella pa– dronale - che poi si identifica– no quotidianamente). lo voglio uscire da questa «ca– mera a gas» in cui la mia lenta morte per avvelenamento e sof– focamento, rende sempre più forte il sistema. Voglio uscire. Vorrei dividere la mia rabbia e la mia disperazione con le altre donne, perché loro mi possono capire, per trovare con loro una nuova forza per lottare. Alla mia scuola hanno creato quest'anno un gruppo femmini– sta; speravo di trovarci delle compagne pronte a scambiarsi esperienze, a coinvolgere più donne possibile, a parlare con loro (le donne) e prendere con loro la coscienza di rivolta. E invece ho trovato una ventina di ragazze militanti nell'estrema sinistra che, pressate dai loro compagni, visto che ora è di moda e attira molte attenzioni specie in periodo elettorale, hanno pensato di «fondare» un nuovo gruppetto femminista da annoverarsi negli altri della sini– stra. Un gruppo impostato bu– rocraticamente, in cui non solo «vengono» divisi i compiti, ma ci si divide all'interno e all'e– sterno di noi. Mi spiego meglio. 11collettivo si divideva in due: quello femminista, in cui si fa– ceva autocoscienza, e per en– trarci bisognava pressapoco sapere tutto sull'aborto, sugli anticoncezionali, sull'oppres– sione. Cioè prima la teoria, le belle parole, poi le esperienze, che invece sarebbero basilari. Poi c'era il «collettivo donne» in cui si parlava con tutte le donne (della scuola) che volessero partecipare degli argomenti teorici, fornendo quindi una ba– se di preparazione. In questo collettivo erano obbligatorie le relazioni, e i giri di opinioni per vedere se tutti avevano capito la «lezione», e il capetto che chiedeva altezzosamente e con noia di non essere timida e di parlare,· perché dovessero sempre parlare le solite. Non c'è mai stato un tentativo di in- · staurare un dialogo personale, di amicizia e di collaborazione al di ~ori del dibattito politico. Posso citare l'esempio di una mia amica. Nessuno la conosceva nell'am– biente di sinistra della mia scuola, arriva nel gruppo e, realmente convinta, si dà un gran daffare, lotta. Ora tutti la vogliono, parlano con lei ecc ... ecc ... lo non ho la forza di parlare nei collettivi, sono molto emotiva, e preferisco parlare faccia a fac– cia con tutti. Ho parlato con molte donne, con quelle come me, un po' timide: bene, ne è uscito un vero potenziale di lot– ta, mai sfruttato. Anzi veniamo tenute in disparte perché non sufficientemente femministe. Era il potenziale della nostra esperienza, dei nostri ragiona– menti, di quello che noi giudica– vamo primario e che ci rifiuta– vano, tac.ciandoci di sponta– neismo e poca preparazione. Bene, non sono mai andata a un collettivo di autocoscienza. Mi sembrava un confessionale o un club privato per zitelle aci– de. No, l'autocoscienza la si fa con tutte le donne, parlando di sé e risalendo alle cause della nostra oppressiòne. Bisogna vincere quel pudore e quell'in– dividualismo che ci fa parlare di noi, dei nostri errori, dei nostri guai con le nostre migliori ami– che, quelle «del cuore». Si perché all'interno del colletti– vo erano rimaste le discrimi– nanti psicologiche dell'ex grup– po di appa,rtenenza, del ragaz– zo più o meno carino e di quello che le è stato fregato da quel– l'altra, del livello di militanza, e tante altre cretinate del genere. Ecco io voglio parlare con le donne. La mia fortuna è di avere un ra– gazzo in gamba, che è più fem– minista di me quando vuole, che mi fa notare quando più o meno volontariamente sfrutto il mio ruolo di donna-oggetto e pure tutti i miei cedimenti ed er– rori nel tentativo di cambiare me {in meglio, s'intende) e gli altri. Eppure io sono sola nel mio sfruttamento. Non posso lottare con le altre donne e ho tanto bisogno di tro– varle e di parlare e di lottare in– sieme con loro. ff_a, W1T,. &.A "l"tA t>&Mf•l t,101, ~ "l\)no,-1:~ 0 . -\.A L19EllTÀ"! ' 't:11-0 I>" lllSTA ·.'"'"Te·· . . ~- o .._ __ .,

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