RE NUDO - Anno VII - n. 42 - maggio 1976

Tra queste recensioni ce n'è una di un disco che non esiste. Chi indovinerà la re– censione immaginaria riceve– rà in regalo il disco. ARCANGELO ABATE, Piccola pescivendola deserta (dischi Hippyka, BUS 18 sbarrato) A. Abate è un nuovo cantautore della scuola di Varazze, che tanto ha dato e dà alla canzone italiana. Si sa, i cantautori or– mai sono tanti che a Superso– nic quando presentano I dischi sembra che facciano l'appello sul registro. «Aspera» APresen– te!» «Antonello» «Presente!» «Ardigò» «Venga accompagna– to dai genitori» eccetera. Ecco perché negli ultimi tempi ·c'è una specie di corsa alla scelta del cognome che cominci per «A» in modo da essere in testa al registro. Vabbé, ora parliamo di Abate. Che dire? Ha sui ven– t'anni, suona la chitarra, è un giovane ribelle che una volta ha detto «vaffanculo» a suo papà e un'altra volta ha addirittura oc– cupato l'Università per una in– tera mattina assieme ad altre centinaia di migliaia di giovani (molti dei quali cantautori, qua– si tutti tranne I leaders). Si dic; che piaccia molto alle ragazze, o perlomeno così riferisce il suo produttore Igor. La breve bio– grafia distribuita dalla sua casa discografica dice anche che «e– sce da Re Nudo», il che fa pia– cere anche se spesso ci do– mandiamo come mai escono tutti e non entra nessuno ... Mu– sicalmente è difficile da definire in quanto la musica, se intesa come accompagnamento, è così sullo sfondo che vien vo– glia di sollevare Il disco per ve– dere se non sia per caso scivo– lata sul piatto; però ogni tanto s'avverte qualche Do maggiore - Fa maggiore e In un difficile passaggio persino un azzardato Sol 7. Se Invece Intendiamo la musica come filo melodico di– remmo che questo filo ha qual- che somiglianza con quelle cor– de saponate in uso un tempo per appendere i malandrini... e difatti la voce ne esce a tratti strozzata, a tratti sospirosa: è quello che è stato definito come «genere moribondo-sexy». Ma la cosa che più vale, chiara– mente, sono i testi estrema– mente curati (praticamente im– bellettati) e tali da costituire una vera e propria «poetica» e certo se fosse ancora vivo, He– gel ne avrebbe parlato nella sua Estetica come di un es·emplo della «immutabile trascendenza della coscienza sensibile ipo– statizzata nel molteplice attra– verso un ritorno del sé in sé e per sé sussunto fuori di sé». Ec– co un testo particolarmente si– gnificativo: Profumo di piedi e di barche de– serte le saracinesche sorridono aper– te tu lasci la mano sul biondi pisel– li tua madre cucina un puré di ca– pelli lo cado per terra mi sento vola– re che noia le penne nel cavo ascellare sul vecchio divano non c'è l'U– nità mi sento mancare la mia libertà E tu che mi guardi e tu che mi tocchi gorilla insaziabile seduto a gi– nocchi la tua ballerina non balla più tanghi è andata a Chianciano e adesso fa i fanghi è andata a Berlino con i Nebu– lunghi e dentro la selva adesso fa i funghi Il treno partiva tu dormi piccina chissà se avrò chiuso il gas in cucina? compagno di scuola e di bar del Circeo tu hai fatto le tecniche, io ho fatto il Liceo ho detto già troppo, non. dico più niente sennò ai miei concerti non vie– ne la gente. Insomma una nuova promessa della musica italiana, che sia- mo sicuri maturerà nel tempo e potrà sicuramente far sempre peggio. SENSATION FIX: Finest Fin– ger. (Phonogram) Tutto sommato la storia dei Sensation Fix è abbastanza in– spiegabile qui in Italia: tre mu– sicisti (ora diventati quattro per l'aggiunta di un tastierista chia– mato a rimpolpare il già eccel– lente lavoro di Franco Falsini), tre musicisti dicevo che si sono tenuti sempre su un livello di molto superiore alla «media na– zionale», vale a dire che sareb– be un errore macroscopico me– scolarli alla paccottaglia tipo «Jumbo», «Latte e Miele», «Ban– co di Mutuo Soccorso» o altri zappatori di note sopravvissuti per alcune stagioni e fortunata– mente caduti poi in felice oblio. Sarebbe un errore oltretutto perché i Sensation anche se fanno di tutto per nascondere le loro tracce non sono affatto scomparsi dalla scena (di cui del resto si sono sempre tenuti ai margini) ma vivono in quel di Firenze su una collina fuori dai coglioni (leggasi letteralmente) del pop businness e lì meditan– do e spulciando tra erbe e fiori han prodotto questo Finest Fin– ger che ha tutta l'aria di esser l'album che li farà uscire (come si suol dire) dall'anonimato. Premesso che io ho un antico amore per Franco Falsini dovu– to a Cold Nose, un album da lui prodotto e missato e sovrainci– so in solitudine e già segnalato su queste pagine anche per il prezzo off. di 2500 lire, un al– bum non mi stancherò di dirlo ignobilmente sottovalutato ma che tira qualche pista alle squallide ripetizioni della musi– ca cosmica tedesca così «di moda» in questi anni, e pertanto ancora più incomprensibile la scarsa attenzione suscitata, se non col solito metro dell'estero– filia ecc. ecc ... Per tornare a Fi– nest Finger il pezzo che dà il nome all'album è proprio (iro– nia della sorte) quello che mi convince di meno ... Sarà a cau– sa degli esperimenti vocali di Falsini, che secondo il mio mo– desto parere non solo non ag– giungono nulla alle liquide at– mosfere dei Sensation, ma di– ventano alla fine stucchevoli ed irritanti, intaccando la compat– tezza che porta il gruppo a sci– volare da atmosfere acide, ad un blues di ottima fattura a qualche accenno rockeggiante senza mai sbavare, senza mai perdere quota, se non appunto 47 quando Franco comincia a can– tare. Per il resto il gruppo smentisce una volta per tutte le chiacchiere che lo vorrebbero nella scuola tedesca dei corrie– ri cosmici poiché appunto il colore-calore del basso richia– ma piuttosto alla mente i Cream di buona memoria e comunque il meglio rock inglese dei fine sessanta. Su tutto sovrasta co– munque Falsini alle tastiere, uno stile ormai inconfondibile, levigato e sognante come ac– qua di fiume. Speriamo di risen– tirci al Parco Lambro. Sono certo che per molti sarà una sorpresa. c.s. Muddy Waters, Woodstock al– bum, CBS Un disco pulito, una musica co– struita a tavolino e non in sala d'incisione o in concerto. In un Palalido farebbe la figura del complesso che accompagna Drupi, o giù di lì. Ed è un pecca– to, perché Muddy Waters, che canta, ha una bellissima voce, calda e ricca di tonalità. In realtà, il tutto sembra una brutta copia della musica di Sonny Terry e Brown Mcghee. Chi sono costoro? Sono quelli che hanno scritto "On the road again", per intenderci, gente che suona e canta da trent'anni e ancora oggi produce musica da far scuola. Una scuola alla quale sono andati musicisti co– me John Mayall e Arlo Ghutrie, Sugarcane Harris e Lohn Ham– mond. Un blues pieno d'inventi– va, voci dialogate e improvvisa– zioni. L'armonièa di Terry ha ispirato più volte lo stesso Dy– lan, che gli dedica una delle ·sue prime canzoni, "Song to Woody". Muddy Waters ha quasi la stes– sa età, ma sembra perdèrsi per strada, resta imbrigliato da troppi passaggi scontati, gli strumenti ripetono se stessi, e risultano come un insieme trop– po compatto, troppo pulito, ap– punto. Diventa una musica da salotto, e francamente non· cl interessa molto.

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