RE NUDO - Anno VII - n. 38-39 - gennaio-febbraio 1976

comunque in tutto questo ha una grossa importanza quel piccolo imponderabile dato dalla tua pre– senza fisica sul palco in quel mo- . mento a telecamere accese sull'I– talia. Ci vai sul palco, va benino, tu credi che sia andata bene. Tutti si complimentano e dicono: sicu– ro in finale del resto (occhiolino) era già previsto ... Sei rassicurato: sei una merce, ma credono in te. La sera, quando arrivano i risultati delle «giurie» c'è una tensione indescrivibile. Tutti quelli che hanno cantato vanno a dividersi in due categorie: gli entranti in li finale e i bocciati. I primi andran– no a festeggiare a bere champa– gne accompagnati dallo stuolo dei discografici, dei giornalisti, dei produttori, degli «amici». I secon.di saranno lasciati soli nella «hall » dell'albergo: cercheranno qualcuno e non c'è nessuno. Dov'è finito l'ufficio stampa? Dov'è finito il produttore? Dov'è l'« amico»? Spariti, squagliati. Ti avevano dato gli zuccheri, ti ave– vano eccitato persino, ti avevano fatto vedere i milioni e d'improvvi– so da un istante all'altro t'hanno portato via tutto. Sei finito. Hai chiuso. Neanche ti guardano. Merce invenduta, avanzo di ma– gazzino. Luigi c'era cascato: la sua nuova casa discografica (RCA) aveva cominciato a co– struirlo come personaggio nuovo. L'aveva mandato in televisione con la chitarra in mano a cantare un pezzo di Dylan. L'ufficio stam– pa nasava che s'apriva la stagione d'un nuovo genere di cantautore quello impegnato e al contempo un po' scasinato personalmente, l'arrabbiato. Tenco aveva indurito la voce, s'era fatto crescere più riccioli. Stava diventando diverso: il personaggio. A San Remo por– tava la canzone più orrenda che avesse mai scritto, su chiavi musi– cali non sue ma di presumibile «sicuro successo». «Ciao amore ciao» cantava in una strana com– mistione di amarezza alla Tenco e di canzonetta da Festival alla Mo– dugno. Gli era andata male: il personaggio non calzava alla per– sona. Invece d'uccidere il perso– naggio, Tenco s'è ucciso. E l'in– dustria discografica ha visto il trionfo. del personaggio Tenco. Il primo a capirlo già quella sera era stato il Mike Bongiorno che in un albergo stravolto dal suicidio di Luigi con cantanti che giuravano di smettere, crisi nervose di tutti, sguardi vuoti, merci vaganti, sem– bra (a quanto ci hanno raccontato alcuni protagonisti) avesse la se– renità di discutere della sigla del suo prossimo programma televisi– vo. Il Mike l'aveva capita: non solo la macchina non si ferma se uno si spara, ma marcia più in fretta. I giornali che il giorno prima spara– vano moralisticamente contro il mercato delle canzonette, il gior– no dopo titolavano« Il Festival ha vinto». Un giornale scriveva in una cronaca che Lucio Dalla sconsolato aveva detto: « È uno schifo, mi ritiro. Faccio un disco che vada bene, mi metto a posto e mi ritiro». Non so se la frase riferita fosse autentica, fatto sta che in questa frase era nascosta la stessa contraddizione di Tenco, che continuava per la sua strada: faccio i soldi e mi ritiro. Nessuno si ritira mai. Ti buttano via quan– do non servi più. E se ti spari gli fai un favore. Le pistole vanno usate, ma usarle contro di sé, in questo come in molti altri campi, è proprio sbagliato. Riappropriar– si della propria persona vuol dire distruggere la fabbrica dei perso– naggi. E non si tratta solo di San Remo: San Remo non c'è più ma ci sono tante altre cose. Se per esempio aveste visto cos'era il retro del palco del primo parco Lambro, vi sareste accorti che si respiravano angosce molto simili. La paura di uscire davanti alla gente, l'ansia di riuscire, e qual– cuno che piangeva perché era stato fischiato nonostante si fosse presentato con un supercomples– so di sicuro effetto ... Forse ripen– sare a Tenco può farci capire che le cose vanno fatte in modo diver– so, realmente alternativo. E il pri– mo passo dell'alternativa è spara- 69 re contro i personaggi perché le persone non si autodistruggano, e sparare ai personaggi per colpi– re dietro: l'industria, la macchina, la merce. UN DISCORSO INTERROTTO CON UN VECCHIO AMICO Era difficile. Nel senso che voler dire qualcosa con le canzoni, dentro l'industria del disco, non era e non è cosa semplice. Ti sembra sempre di non potercela fare: tutto è più grosso e più forte di te e delle cose che vorresti dire. Ma Luigi non mollava: aveva qual– cosa da dire e rifiutava di scende– re al solito compromesso per co– struire il solito disco ben confe– zionato. Erano passati due, tre, quattro anni e sempre non mollava. Qual– che discreto « successo», ma mai nulla che lo portasse dentro il mondo dei divi, delle centinaia di migliaia di dischi venduti, dei mi– lioni di guadagno. «Certo se facessi una canzone con un testo di Mogol sarebbe fatta - Ma sputami in un occhio il giorno che scenderò a questo compromesso con me stesso e con le cose che ho da dire». Dopo quindici giorni l'ho rivisto: aveva un testo di Mogol da sotto– pormi e cercava di spiegarmi Il perché era giusto. perché anche lui doveva sfondare. Intanto una grossa casa discogra– fica aveva bussato alla sua porta: il successo commerciale era li, a portata di mano. « Questa volta ce la faccio, costruisco un bel pro– dotto così poi potrò riprendere fino in fondo il mio, il nostro discorso politico ». Una litigata, la prima dopo cinque anni di amicizia e collaborazione. Poi, dopo tre mesi, una telefona– ta: « Vado a San Remo, sì, proprio di NANNI RICORDI al Festival. La canzone non è male, e poi mi hanno assicurato che sarà fra le prime tre... Sei ancora incazzato con me? » « No, Luigi, no cl vedremo dopo San Remo e riprenderemo il discorso Interrotto da vecchi amici e da vecchi compagni». Ci credeva e voleva crederci. Non era nel primi tre. Non era nemme– no entrato in finale. Ha lasciato un biglietto « In un mondo dove c'è spazio per Oriet– ta Berti non c'è posto per me». No, c'era e c'è spazio anche per lui - per chi ha qualcosa da dire. Ma bisogna. tenere gli occhi aper– ti: la macchina delle false promes– se, i miti del successo, gli imboni– tori al servizio del superprofitto sono li, pronti a gettarsi come avvoltoi. Luigi ci hai creduto: ha creduto in sé, ma ha commesso l'errore di credere anche ai suoi nemici. Le sue ballate sono rimaste in un cassetto per cinque anni (l'ultimo LP che avevamo fatto assieme ...). Poi, da qualche tempo, sono ri– comparse «postume»; la censura della casa discografica è saltata di fronte alla possibilità di fare un piccolo affare alla sua memoria. Luigi Tenco è morto viva Luigi Tenco, se mi fa guadagnare qual– che lira. Anzi da morto è più utile e meno scomodo che da vivo. Sì, lo credo, oggi più di ieri sareb– be dentro il movimento, parlereb– be con noi e di noi. Nanni Ricordi ' • • : • • ','{ J • ••• ~- e . . ' BALLATA DELL'ARTE C'è chi dice che l'arte non ha rapporti con la società per cui l'artista vero non si occupa mai di problemi sociali lui si sente isolato, chiuso in problemi intimi problemi che coinvolgono la personalità C'è chi dice che l'arte non ha rapporti con l'uomo comune per cui l'artista vero non può usare un linguaggio capito da tutti anzi meno comune sarà il linguaggio usato tanto più verrà a galla la personalità Ma c'è invece chi pensa che l'arte ha un suo rapporto con la società visto che Il nostro artista somiglia all'uomo tipico del nostro tempo soffre anche lui di un male purtroppo assai diffuso che ogni volta ritorna portando un nome nuovo ieri era il superuomo adesso è l'Introverso comunque è sempre il mito della personalità. LUIGI TENGO Questa canzone, che pare molto «seria», quasi un «comizio– intervento » ha sotto una musica allegra e paradossale, una beguine. La seconda parte d'ogni strofa è invece sottolineata da un indurirsi della frase musicale, che si fa cattiva. In tempi di riscoperta del valore della persona, può sembrare che sia una canzone contro i problemi dell'indi– viduo. Leggetela bene: è una canzone contro la riduzione della persona a «personalità» a «personaggio», una persona tolta al rapporto con la società, con l'uomo «comune» e rappresentata come «mito•. Di questo «mito» è morto Luigi Tenco.

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