RE NUDO - Anno V - n. 26 - 1974

«SUPERSTAR• E' CULTURA POP-OLARE? Sacondo il credibile prete che è andato, con congruo codazzo, a riconsacrare il locale romano in cui si era proiettata l'anteprima di J.C. Superstar, tutta la stampa internazionale avrebbe parlato male del filmaccio, e solo la critica italiana, per una sorta di provincialismo, lo avrebbe lodato. Ma quel signore, a sostegno delle sue argomentazioni, cita poi soltanto alcuni giornali francesi: i quali, com'è noto, su certi argomenti hanno il dente avvelenato, e in ogni caso non costituiscono davvero « la stampa mondiale ». Per fortuna, con grave scorno di certa gente, e degli snob tipo Valerio Riva che non osa ribattergli come dovrebbe, il filmaccio sta avendo un grosso successo sui nostri schermi, e la critica italiana più agguerrita ha proprio visto giusto. Per quanto ci riguarda, il Jesus Christ Superstar di Norman Jewison - regista di un altro magnifico musical uscito alla chetichella qualche tempo fa, Il Violinista sul Tetto - è bellissimo. La musica di Andrew Lloyd Webber (londinese, classe 1948) è piena di ritmo e di passione, e i testi di Tim Rice (quattro anni di più) sono esattamente quel che dovevano essere: sobri, essenziali, incalzanti. Ne risulta un impasto tellurico, un'autentica riuscita poetico musicale: quella cantata-rock che dal 1969 non ha cessato d'incantare chi l'ascolta con le orecchie pulite. Chi ha orecchie per intendere intenda, dice il Signore, e mai è stato detto più a proposito. Del film, rilevare che è costruito con un solido talento è ancora ben poco. Una semplice operazione commerciale, come (stavolta peccando di eccessivo rigorismo) ha scritto M. Morandini su Tempo? No: una lezione di stile, e la provata capacità di assimilare alcune lezioni importanti, come ad esempio quella - evidentissima - del Vangelo secondo Matteo filmato dal nostro Pasolini. C'è, in tutto il film di Jewison, come una gioia sospesa, una tensione, uno stupore, che non possono sfuggire, che non ingannano. La figura bianca e bionda del Salvatore è prQpriamente quello che dicevano le Scritture: ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che prende sopra di sé (non « che toglie»!} i peccati del mondo. E' un uomo: come per secoli e secoli hanno pensato e creduto, non soltanto i primi discepoli, ma anche i fedeli non fuorviati dalle sottili perfidie della speculazione teologica ellenistico-egizia. Ma in quest'uomo c'era qualcosa di diverso, di « divino »: un mistero di difficile soluzione. Non è l'unico essere divino comparso sopra la terra: lo furono anche Mozart, Montezuma, Alessandro. Ma a questo arride un successo straordinario, proporzionato solo all'immensa speranza che ha fatto rinascere nei cuori umani: Superstar, appunto. E' una scala di valori che viene direttamente mutuata dalla cultura planetaria contemporanea, che è la cultura eclettica americana dilatata dalla tecnocrazia e dalla comunicazione di massa. Pilato, Erode, i potenti della terra ne sono incuriositi: sono intrigati proprio da quel « successo » straordinario, e ne indagano ansiosamente, astiosamente i motivi, perchè lo invidiano e lo vor,rebbero far proprio. Come esprimere meglio, con gli elementi dell'arte popolare d'oggi, l'incommensurabilità che separa i due piani, quello di RE NUD0/17 Gesù Cristo e quello del tristo potere terrestre? Alle ansiose inquisizioni del Re e del Governatore non c'è risposta. Ma c'è ancora un lato umano del Cristo, una sua debolezza quasi femminea, che sentiamo sottolineata dalla strozzatura . vocale cui si sottopone Ted · Neeley; gliene viene una voce tesa, quasi piangente, di fervore di fatica e di rabbia. Anche questa è una notazione giusta: come sempre, il divino è androgino, almeno tendenzialmente, perché è autonomo e onnicomprensivo. Isterico? Solo in senso superficiale: ma come non compatirlo nella situazione in cui quella « corte dei miracoli » - storpi, mendicanti, lebbrosi - gli si fa addosso minacciosa e implorante fin quasi a sopraffarlo? E', ancora e precisamente, l'Agnello di Dio, un agnello che bela tremante. E quando entra, festeggiato e idolatrato, in Gerusalemme, voi sentite la freschezza, la novità del suo messaggio, e presentite la trista cupidigia della Chiesa che cercherà di sopprimerlo e d'impossessarsene. Il film dà benissimo questo senso di un messaggio prepotente liberatorio, di un « verbo » che erompe nuovo, incoercibile, in faccia ai potenti della terra. Non si vuol dire qui che tutto il film navighi a pari altezza: ha degli scompensi, ma sotto un livello dignitoso non scade mai, mentre le pagine di bellezza sconvolgente non sono poche. Ha ragione, vivaddio!, la Lalla Romano, che lo ha scritto sul Giorno senza falsi pudori. Ci sono anche, del mito evangelico, alcune attente parafrasi espressive: il « caratterino » di Gesù Cristo viene fuori proprio come gli evangelisti ce lo avevano tramandato, attraverso certe repliche brucianti o sarcastiche (ai familiari, ai discepoli stessi, e in genere a chi lo interroga senza rispetto facendolo irritare). Ma soprattutto c'è il ricordo di quella sua inchiesta nervosa e quasi angosciata: « Chi dunque dicono che io sia? » dove Superstar pare proprio colto in atto di verificare il proprio successo. Infine, che il musical sia e rimanga soprattutto uno spettacolo, pare non ultimo dei suoi meriti. La figura del Cristo è stata deturpata nei secoli da mille e mille pagine sconclusionate di teologi capziosi e soprattutto dalla cattiva pratica e dal tradimento di quella che voleva essere riconosciuta come la sua Chiesa. In questo filmetto, invece, Gesù ci appare come un fratello. Per lui e per noi, non è molto meglio? M. L. Straniero

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