Ezio M. Gray - Germania in Italia

- 21 - occhiali e discussero e ammisero non tutto ma una parte, una buona parte delle plausibili teorie del Woltmann e dei suoi compari di Allemagna. Nè questi si placavano; chè anzi la docilità nostra, il nostro entusiasmo per la loro scoperta, la gratitudine bambinesca per l'onore che ci facevano trovando meritevole di studio la storia di quella Roma che non aveva, in fondo, avuto mai un esercito paragonabile a ouel di Sédan, mostrarono agli agentiscienziati della politica pangermanista quanto sviluppo potevano ancora dare alla loro missione in Italia. Allora non ebbero più freno. Pretesero - ed ottennero - che i più riservati archivi fossero aperti alle loro ricerche e li si aprirono giacchè era compatibilp che fossero chiusi prima ai nostri modesti e incompetenti archeologi e paleo~rafi e storici, non a loro, chè ogni parola degli scienziati tedeschi poteva colmare secolari lacune nella interpretazione del mondo. E quelli frugarono, copiarono, lessero male, tradussero peggio, fabbricarono su un errore iniziale un edificio colossale di sofismi e poi per sostenerlo rivoluzionarono tutto ciò che già era stato riconosciuto esatto. Documenti, iscrizioni, palimsesti, geroglifici, carte intime, tutto passò nelle loro mani pesanti, traverso il loro cervello che nemmeno ebbe un fremito al contatto di quei puri tesori di tutta una civiltà dalla quale i loro antenati eran stati abbarbagliati e percossi come per uno splendore insostenibile. Le rapine artistiche. Tracce del loro passaggio sono dovunque. Di una tavola dipinta uno dei loro, il Rolfs. accetta, sul subito, la interpretazione fornita da un nostro studioso e la ristampa come sua in uno zibaldonp che vorrebbe essere d'Arte Napoletana e poi viene a sapere che una nuova interpretazione geniale ne è stata scoperta e si introduce in un Museo e corrompe o fa cianciare un impiegato, ne apprende poche cose, le crede sufficienti alla sua intuizione diplomata, le completa boriosamente, le pubblica Biblioteca Grno Branco

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