Il piccolo Hans - anno XIX - n. 73 - primavera 1992

co dall'arte, che l'arte può anche 12ortare a morte, ma che può arrivare alla morte con arte. E un soggetto, e questa è la vera fatica, che diventa tutto strumento, superficie fondamentale e pennello. E se lo psicotico spesso mangia i colori, Van Gogh ne nutre la pelle dei feriti, e Tiziano incomincia, deposto il pennello, a dipingere con le dita. Ma proprio in quel momento, lui che si era appena raffigurato in un autoritratto senza pennello in mano, fa di sé un nuovo autoritratto, in cui è assai più vecchio, ma con ilpennello in mano. Il pennello compare nella sua mano quando nella realtà non c'è più o piuttosto quando non è più la sua mano a tenerlo, ma è il corpo ad esserlo diventato. Allora la figurazione può collocarsi nel complesso di un soggetto macchina da presa-operatore, incerto limite del vivo che sopravvive alla peste che gli colpisce il figlio, un Marsia con un occhio solo, l'altro rapito da un cane, prima di raffigurarsi, incompiuto, nella tomba, cui un altro, Palma il Giovane, aggiungerà un angelo trionfale con una tromba. È la morte, dice Klee, che compie l'opera. È questo incerto limite, che mantiene presente il terrore del frastuono degli zoccoli del cavallo nella prima rappresentazione esterna dell'apparato psichico, che finisce col fare dell'artista stesso la figurazione della propria teoria. Nel 1933, due anni prima che si manifestasse la sclerodermia diffusa, Klee dipingeva con colori ad acqua su carta lngres francese un'opera, Deserto di pietre, in cui il dramma del bianco e nero e dei colori lascia il posto a un colore assai vicino al seppia delle vecchie fotografie: proprio quella sorta di violetto cui Klee non aveva riconosciuto un posto di diritto nella scala cromatica. Le stesse pietre comporranno sempre nel '33 due ritratti: 61

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