Il piccolo Hans - anno XIX - n. 73 - primavera 1992

4 «La cecità», cit., pp. 132-133. 5 Oscar Wilde, The Picture o/ Dorian Gray, New York, 1985, p. 246 («Era la sua bellezza che l'aveva rovinato [...] C'era del sangue sull'immagine dipinta del piede, come se la cosa avesse sgocciolato - sangue anche sulla mano che non aveva tenuto il coltello. Confessare? Significava che doveva confessare? Consegnarsi ed esser messo a morte?» [trad. nostra]). 6 Edgar Allan Poe, Il ritratto ovale. 7 [Tutte omofonie di deuil e duel. Allusione all'isola in cui si identifica la cieca nella poesia di Rilke Die Blinde, come si chiarisce poco dopo]. 8 [Gioco di parole intraducibile: d'yeux pers significa "di occhi glauchi" ma suona anche come dieu père, "dio padre"]. 9 Tra i ciechi di Rilke, che pure cantano - tutti e tutte - la condizione poetica, ovvero il lirismo stesso in quanto apre al di là del visibile, diamo la parola solo a quello di un sogno. Differentemente da Die Blinde, il sogno del cieco riguarda un uomo. Un uomo sembra farne parlare un altro per restituire gli occhi all'uomo. Questi occhi sono le stelle. Invertendo un'allegoria astrale o oculare vecchia quanto il cielo, restituisce gli occhi all'uomo rispondendo alla domanda posta da una ragazza. Lei avevadetto a un giovane cieco, che - senza riuscirci - «si sforzava visibilmente di svegliarsi» mentre il suo «occhio» «sembrava vuoto»: «Non serve a nulla, dice la ragazza con la sua voce trasparente di un riso diluito, non ci si può svegliare prima che gli occhi siano tornati». «Stavo per domandare "Che voleva dire?". Ma improvvisamente compresi. Mi ricordai di un giovane operaio russo della campagna che, quando arrivò da Mosca, credeva ancora che le stelle fossero gli occhi di Dio e gli occhi degli angeli. Lo avevano dissuaso. In verità, non si poteva provare il contrario di nulla, ma si poteva dissuaderlo. E a ragione. Perché le stelle sono gli occhi degli uomini che fuggono dalle loro palpebre chiuse, e salgono, e diventano chiari, e si riposano. È il motivo per cui, in campagna, dove tutti dormono, il cielo ha tutte le stelle, e al contrario, al di sopra delle città non ce ne sono che poche, perché ci sono molti uomini che s'inquietano, piangono, leggono, ridono o vegliano, e che tengono aperti i loro occhi» ([Derrida cita, e noi traduciamo, da] Le livre des reves, Le septième reve, tr. fr. di M. Betz in Oeuvres en Prose, Paris, Seuil, 1966, pp. 281-282). In Gong Rilke scrive anche: «Bisogna chiudere gli occhi e rinunciare alla bocca,/ restare muti, ciechi, abbagliati:/ lo spazio tutto scosso, che ci tocca/ vuole dal nostro essere solo l'udito» [Derrida cita, e noi traduciamo, da] Poésie, Oeuvres, 2 (Paris, 1972), curato da Paul De Man, l'autore di Blindness and Insight (Minneapolis, 1983) che cita pure questi versi in Allégories de la lecture (tr. fr. di T. Trezise, Paris, Galilée, 1989, p. 81). 10 [ «Io stesso il mio sepolcro, una tomba in cammino, inumata...»]. 11 «Cosa piangerò per prima, / La tua prigione o la vista perduta / Prigione nella prigione / Inseparabilmente scura? Sei diventato (oh peggiore delle prigioni) / Il carcere di te stesso» [trad. nostra]. 12 «Sono abbandonata da tutti [da tutto]. / Sono un'isola (... ) Sono un'isola e sola» [trad. nostra]. 30

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