Il piccolo Hans - anno XIX - n. 73 - primavera 1992

rosa e sempre pronta a inaridire ciò eh'è buono e a mescere il male: «Chi trattiene la propria lingua difende la propria anima, poiché la morte e la vita sono in potere della lingua»1 -. Queste argomentazioni sulla lingua sono degne di quel grande oratore che fu San Bernardo, e tuttavia ciò non gli ha impedito di far ricorso alla lingua del serpente nel conflitto teologico che oppose questo indomito difensore della tradizione spirituale monastica alla teologia moderna di Abelardo2 • San Bernardo non fu solamente un grande mistico, ma anche un uomo che sapeva per esperienza che la difesa dell'ortodossia è legata al potere del linguaggio. Quando parlo - scrive Maurice Blanchot - esercito sempre un rapporto di forza, faccio parte, consapevolmente o meno, di una rete di poteri dei quali mi servo per lottare contro la forza che si determina contro di me. Il parlare è sempre violenza, violenza tanto più temibile in quanto recondita, in quanto recondito è il nucleo di violenza che già si esercita su ciò che la parola nomina, e che non può nominare se non sottraendogli la presenzasegno... in quanto è la morte che parla (questa morte che è il potere) non appena parlo io. Al tempo stesso, sappiamo che, finché si discute, non ci si azzuffa. Il linguaggio è l'impresa attraverso la quale la violenza accetta di non essere aperta, ma recondita, di rinunciare a disperdersi in una brutale attività, e di astenersene, in vista di un controllo più efficace, non imponendosi, quindi, ma permanendo nel cuore di ogni imposizione3 • Se ciò che chiamiamo comunemente «sincerità» nelle pratiche dell'arte letteraria - alla quale peraltro assegniamo tutte le forme del discorso oratorio - sia o meno una categoria pertinente, è questione che si è imposta nettamen228

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