Il piccolo Hans - anno XIX - n. 73 - primavera 1992

Noi mortali, è vero, dice il poeta, siamo impazienti del dolore, vogliamo affrettarne la fine. Ma i dolori sono qualcosa che non possiamo eliminare, come non possiamo sbilanciare l'ordine delle stagioni, sottraendo l'inverno. Una dura necessità stringe in tenace commessura e incastro il dolore dell'inverno alla gioia della primavera, alla melanconica fecondità dell'autunno. Ogni stagione dà i suoi frutti, e se l'inverno sboccia in dolore, anche il dolore è una fronda che ci adorna, e dobbiamo sopportarlo. Necessità vuole che l'inverno venga. E questo uso, o sorte, è giustizia che si mostra; non solo castigo e pena. Ecco dunque che Stevens scrive «le poesie del nostro clima», che è per lo più invernale. Siamo qui, su questa roccia, dice; all'asciutto, sulla terraferma, come gli uccelli che sbattono ali non più bagnate, in mezzo ad alberi con foglie azzurre, come se l'acqua del mare asciugandosi avesse lasciato sulle piume una traccia d'azzurro... O forse è l'azzurro del cielo? Come che sia, ogni altro demento è riassunto nella massa terrigna, ferrigna alla fine, della roccia, questo il nostro sofà. Di qui ci affacciamo al mondo, che è luogo fisico, spazio definito da ascisse terrestri e coordinate celesti. Il piano della nostra realtà si ritaglia cosl, secondo il poeta. Ma saremo capaci dell'«assoluta semplicità» a cui il poeta ci invita? Ce la faremo ad abitare semplicemente lo spazio che è nostro? O meglio, che forse non è nostro (come non sono nostri i pensieri), ma ci concerne, ci riguarda? Per fare nostro lo spazio non lo dovremo invadere piuttosto col desiderio? Ma cosl facendo, accade che perdiamo l'«assoluta semplicità», e vogliamo di più. La mente non è mai quieta, dice il poeta. Altrove la chiamerà «cagna selvaggia», mentre la vorrebbe p uella p arv _ ula. La mente, il cuore, il desiderio proiettano mila scena della realtà l'irrealtà dell'jmmaginazione. Perfino nel cuore dell'inverno la mente famelica, selvaggia, protende le sue avide fantasie, e trasforma il paesaggio vuoto, spoglio, in altri significati. Il mero essere, l'esistenza pura e semplice, una palma, ad esempio, un uccello, il suo canto estraneo, vengono manipolati dalla mente. E cosl la palma <•vnc flq» all'odo dello spazio, perché il pensiero aggredendola la de-re.1lizza. Si afflosciano cosl le penne piume a scaglie di fuoco dell'uccello, sotto l'acido corrosivo di un occhio (e soggetto: I= eye) che aprendosi o chiudendosi crea o disfa il mondo. Prendete L'uomo di neve, poesia che è all'inizio di una figu103

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