Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 70 - estate 1991

zione di regole grammaticali e sintattiche già codificate. Affinché una seconda lingua naturale sia appresa, bisogna che sia affettivizzata o nei suoi aspetti comunicativo-relazionali o in quelli connessi alla produzione artistica-letteraria della lingua medesima. Ma mentre la traduzione da una lingua naturale a qualunque altra è sempre possibile e propone immediatamente un universo noto, familiare e pur sempre legabile al vissuto del soggetto, il simbolo matematico invece è parte di un linguaggio artificiale e si «traduce» in una relazione astratta tra enti astratti. Inoltre la matematica, affine in questo alle discipline scientifiche, viene proposta, e non può essere altrimenti, in una forma che non è mai quella con la quale la disciplina stessa si è sviluppata nel corso dei secoli. La risoluzione di un problema, noto nella sua formulazione fin dall'antichità, o la sistemazione organica di una teoria la cui elaborazione completa ha richiesto centinaia di anni, viene presentata agli studenti nella sua forma finale, raffinata dai tentativi errati e dalle ridondanze che hanno contribuito comunque al raggiungimento della meta. Ogni teoria organica infatti ricapitola, e nello stesso tempo cancella, le frammentarie teorie precedenti: risulta evidente ciò che si guadagna in termini di efficienza e rapidità, meno chiaro è ciò che si perde (Lakatos, 1976). Ora accade che l'enunciazione di una teoria nella sua forma compiuta, piuttosto che attrarre ed affascinare per la sua rigorosa bellezza ed eleganza, susciti sensazioni sgradevoli, noia e rifiuto. A questa riflessione segue quella che alcuni famosi e creativi matematici, che hanno lasciato traccia delle modalità con cui sono pervenuti alle loro scoperte, descrivono intuizioni ed emozioni affini alle esperienze artistiche o «estatiche» e percorsi che ben poco hanno a che fare con gli eleganti e stringati ragionamenti 76

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