Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 70 - estate 1991

génie consistant dans le pouvoir réfléchissant et non dans la qualité intrinsèque du spectacle reflété [...]»). È in gioco qualcosa di più ampio, di meno specialistico, che vorrei semplicemente introdurre, lasciandolo subito lì, attraverso un'altra annotazione proustiana (quantunque si presenti come limitata «a chi scrive»): «il piacere è forse il criterio della verità del talento». La lettura della Recherche - una delle possibili e neppure, necessariamente, la fondamentale - che si è schizzata qui, seguendo il filo del «Marce! si scopre scrittore» o insomma, prende coscienza dei propri talenti, della propria vocazione; questa lettura, dico, ha seguito un suo percorso da una sostanza di contenuto psichica e relazionale (che cosa eraMarce!, e che cosa diventa...) alla comparsa di certe determinate forme secondo le quali quella sostanza s'articola nel discorso narrativo: il vuoto (il «buco nero nella testa»), il residuo, la «musica indistinta», la memoria che la riavvicina - tanto per stendere un piccolo elenco. A questi reperti, agganciamo anche un breve testo, o «pretesto» o «con-testo», di mano freudiana. In un poscritto, datato 1922, al caso del piccolo Hans, Freud racconta di avere rincontrato, nella primavera di quello stesso anno, il protagonista del caso, perso ormai di vista da oltre un decennio. È un giovane uomo «prestante», che sta perfettamente bene, non soffre di disturbi o inibizioni di alcun genere. Il bambino fobico dell'analisi si è trasformato in un soggetto che ha saputo superare senzadanni anche qualche difficile prova esistenziale; un giovane, possiamo anche dire, che ha sviluppato i propri talenti, che è stato, ed è, in grado di farcela. Ciò che colpisce in modo particolare Freud in quell'incontro, è che Hans non ricorda più nulla della sua esperienza analitica: «solo leggendo del viaggio a Gmunden era affiorato in lui un barlume di ricordo [...]. L'analisi 118

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