Il piccolo Hans - anno XVII - n. 65 - primavera 1990

dalle loro forze che causano le sensazioni, almeno se si vuole che lo spazio ed il tempo cadano sotto l'osservazione empirica. Nella quinta lettera al fisico newtoniano, Leibniz dunque protesta vivacemente di «non» avere mai detto che «due punti dello spazio siano lo stesso punto, o due istanti del tempo uno stesso istante»24 • Clarke, per parte sua, concede, sebbene lo faccia a denti stretti, che il «movimento» di un vascello o di qualsiasi altra cosa non si percepirebbe in assenza di oggetti sensibili, collocati nello spazio e nel tempo, che servono a differenziare quell'oceano di punti ed istanti uniformi che sono i punti e gli istanti dello spazio e del tempo, ovvero che l'osservatore non potrebbe vedere tali punti e tali istanti, qualora restasse chiuso nella cabina della nave. Newton, egli aggiunge brevemente e con intenzioni aggressive, ha molto insistito, nella definizione 8 dei Principia - la definizione da noi citata, in cui Newton mette in guardia il lettore dal confondere le forze con delle cause reali o fisiche-, sulla differenza che c'è tra movimento assoluto e relativo, dopo aver considerato le «proprietà», le «cause» e gli «effetti» del moto. «È un argomento matematico», spiega Clarke puntigliosamente, «che dà degli effetti reali», dimostrando che «vi può essere un movimento reale senza che ve ne sia uno relativo, e che può esservene uno relativo, laddove non ve ne è uno reale»25. È questo il punto di massima convergenza delle dottrine di Leibniz e Clarke, in cui esse arrivano a toccarsi e quasi a confondersi, ma nessuno dei due litiganti se ne avvede o mostra di essersene avveduto. Clarke avrebbe potuto accordare benissimo, inmaniera più scoperta di quanto non faccia, quello che lo stesso Newton aveva confessato apertamente nei Principia, e cioè che lo spazio ed il tempo assoluti non erano oggetto di sensazioni26 . Invece, nella quarta replica, insiste caparbiam�nte a dichiarare che: «due luoghi, benché esatta72

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