Questa tendenza all'unificazione era irrobustita dalla circostanza che, vuoi nell'ipotesi di una creazione che si attua in base a ragioni precise ed una volta per tutte, vuoi nel presupposto dell'onnipresenza di Dio in ogni tempo ed in ogni luogo, il risultato era che il mondo sarebbe stato sottoposto al fato più ineluttabile. Leibniz si affretta dunque a precisare «di non avere detto affatto che il mondo corporeo sia un orologio od una macchina che funzioni senza l'intervento di Dio»; anzi, egli professa che le creature hanno bisogno della sua «continua influenza»15 • Clarke, dal canto suo, ammette che Dio agisce in base al principio di ragion sufficiente, e che l'esistenza delle cose può essere giustificata solo da «ottime ragioni»16 • Quanto all'accusa di materialismo e di fatalismo che poteva gravare sulle loro dottrine, Leibniz e Clarke se la palleggiano senza riuscire a liberarsene a dimostrazione ulteriore che entrambe queste posizioni filosofiche erano ineludibilmente presenti nelle loro elaborazioni teoriche17 • Continuano qui a lavorare quei potenti motivi di unificazione di cui ho già parlato: in quest'ultimo caso, sono la necessità di difendere la libertà di scelta di Dio ed una concezione razionalista della scienza, nonché l'esigenza di combattere il materialismo ateo, a spingere i nostri due autori a conciliarsi, per quanto radicali siano le loro divergenze. Queste tematiche dominano le missive di apertura dell'epistolario e vengono spinte in secondo piano solo a partire dalla terza lettera di Leibniz, dove vengono sostituite dalla contesa vera e propria sull'assetto dello spazio e del tempo. Lo spazio, scrive Leibniz, riportando il punto di vista del profano di geometria e matematica, o, come si è visto, del senso comune, è «qualcosa di assolutamente uniforme», e, «senza le cose che vi si trovano», un punto dello spazio «non differisce assolutamente da un altro punto dello spazio»18• Esso è qualcosa di «immaginario», 70
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