Il piccolo Hans - anno XVII - n. 65 - primavera 1990

Clarke. Leibniz, come si è visto, nella prima lettera al suo avversario, sostiene che Dio non ha bisogno di tornare a caricare periodicamente la macchina dell'universo, perché in esso si mantiene sempre la medesima quantità di forza, che solo si trasforma «passando di materia inmateria», e questo vuol dire che la vera forza dell'universo è l'energia da lui scoperta, non la quantità di moto cartesiana13. Clarke gli risponde-senza entrare nel merito della questione se fosse esatta la sua nozione di forza o quella di Cartesio-che raffigurarsi l'universo alla stregua di un orologio che continua a muoversi senza l'aiuto d1 un orologiaio, significa bandire il governo di Dio dal mondo ed introdurre, in suo luogo, la fatalità dei materialisti, e, pertanto, richiede che Dio intervenga periodicamente nel mondo ad ispezionare e a rimettere in ordine le cose14. Sebbene le ricerche sue e di Newton si fossero mosse sulla scia della scoperta cartesiana della quantità di moto e fossero rimaste relativamente estranee alla teoria leibniziana della conservazione dell'energia, a Clarke ed al suo maestro non era certo sfuggita la validità di quest'ultimo principio, ed in ogni caso, almeno per ora, non avevano nessuna intenzione di contestarlo, vertendo la disputa su problemi teologici e non su problemi strettamente scientifici. La polemica era infatti nata perché Leibniz avrebbe voluto che Dio avesse creato il mondo una volta per tutte, in base a ragioni precise e restando esterno ai corpi, Clarke che Dio avesse prodotto il mondo, intervenendo ogni volta à sostenerlo e a indirizzarlo, in base al puro arbitrio e restando esterno ai corpi. Ma è chiaro che nessuno dei due poteva restare sulle proprie posizioni ed entrambi dovevano avvicinarsi reciprocamente, poiché-se ciò non fosse avvenuto-la conseguenza sarebbe stata che per Leibniz Dio sarebbe rimasto davvero «fuori» dal mondo, per Clarke la scienza fisica sarebbe diventata una scienza totalmente «irrazionale». 69

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