venta particolarmente intensa, allorché Clarke inizia a discutere i caratteri della forza che dovrebbe servire a provare l'esistenza dello spazio e del tempo assoluti. Secondo un'interpretazione molto in voga della filosofia di Clarke, o meglio della filosofia di Newton, che è il suo più diretto ispiratore, i due fisici inglesi avrebbero visto nella forza e nei suoi effetti semplicemente delle grandezze matematiche che variavano, una «in dipendenza» dell'altra, senza avanzare congetture non solo sulla natura ontologica di questo rapporto causale, ma anche sulla sua natura meccanica7 • A detta di tali interpreti, Clarke ed il suo maestro avrebbero così anticipato la tesi di Hertz e Du Bois Reymond che la forza ed i suoi effetti non fossero altro che «funzioni» matematiche8 • L'originaria cautela che Newton si era imposto davanti ai risultati fantastici cui era giunto Cartesio con la sua teoria dei vortici, si sarebbe in tal modo estesa anche alle sue stesse scoperte, vietandogli di formulare «ipotesi» sulle origini e l'essenza della gravità. «Mi servo indifferentemente dei vocaboli di attrazione, impulso, propensione qualunque verso un centro, perché queste forze le considero matematicamente e non fisicamente. Perciò il lettore si guardi dal credere che io con questi vocaboli abbia voluto designare una specie o modo di azione o di causa o di ragione fisica oppure che abbia voluto attribuire veramente e fisicamente le forze ai centri (che sono punti matematici); anche se per caso abbia detto che i centri attirano o che le forze sono applicate ai centri»9 • Leibniz sarebbe rimasto, invece, il rappresentante più significativo di una fisica che non accetta demarcazioni empiristiche di sorta, ed avrebbe osato spingersi, al di là di ogni delimitazione scettica, a cercare il fondamento e la natura della forza. In effetti, il filosofo tedesco afferma, nella prima e quinta lettera al suo antagonista, che la forza (o energia) dell'universo si conservano sempre le stes67
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