Il piccolo Hans - anno XVII - n. 65 - primavera 1990

Nella poesia di Milli Graffi Nella poesia di Milli Graffi agiscono dinamicamente due opposte tensioni: in primo luogo la spinta, che è anche una tentazione, all'artificio totale, a una lingua di pura invenzione il cui modello si può rintracciare nel Jabberwocky di Lewis Carroll, da lei genialmente tradotto in italiano; in secondo luogo la spinta verso la mimesi impossibile di un oggetto o di un universo, di un referente che si rivela però solo in frammenti e che solo in frammenti può essere nominato, come se una stessa catastrofe, sismica e linguistica, avesse risparmiato, da un lato architetture mutile e paesaggi irriconoscibili, dall'altro parole sradicate, libere. La poesia di Milli Graffi è il prodotto di questa opposizione: scontro, gioco, guerra, pattugliamento alle frontiere del linguaggio per saggiarne definitivamente le potenzialità significative e provarne e verificarne la congenita tendenza all'implosione o alla deriva del senso. Nella sezione Il fiore all'occhiello del volume Fragili Film (Milano, Editrice Nuovi Autori, 1987) le due tensioni sembrano unificarsi in vista di una terza ipotesi: coniare la lingua non in quanto materia verbale, ma in quanto energia significante, e adibirla a un uso, e dunque a un senso, possibile, ma possibile soltanto nella finzione, nel fantastico. O, in altre parole: snaturare la lingua nell'invenzione verbale per rinaturarla nell'uso e nel senso. L'etimo di natura, di nascita o rinascita, è applicabile qui al1'operazione poetica perché Il fiore all'occhiello si colloca tra due universi, o referenti, «naturali»: il vegetale, da un lato, l'umano, con qualche ammicco animale, dall'altro. La lingua gioca alle frontiere tra l'uno e l'altro mondo, tra l'uno e l'altro referente: ciò che suona nonsense nel primo suona senso nel secondo. Così i sottotitoli, a) Ritratti b) ge231

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