Il piccolo Hans - anno XVII - n. 65 - primavera 1990

neralmente comuni come la paura, l'angoscia, il pericolo. È questa concezione di una psiche dell'umanità (e in quanto tale psiche unitaria), il centro irradiatore della ricerca junghiana, orientata verso una visione più armonica, rispetto a quella freudiana: il conseguimento di un equilibrio spirituale e intellettuale è permesso proprio in quanto fondato sull'inconscio, non più considerato turpe regione dalla quale occorre emergere e della quale razionalisticamente ridurne il dominio. Nella distinzione tra un inconscio individuale e un inconscio collettivo, non derivante da esperienze personali ma definito come insieme delle trame mitologiche e delle immagini che sempre e dovunque possono riprodursi indipendentemente da ogni tradizione storica, l'attenzione di Jung privilegia lo studio dei cosiddetti "simboli naturali" (opposti a quelli "culturali") che provengono dai contenuti inconsci della psiche e rappresentano una variazione di idee e immagini «arcaiche», reperibili nelle più antiche testimonianze e nelle società primitive: Parlo di carattere arcaico quando l'immagine presenta una cospicua concordanza con motivi mitologici. In questo caso essa è da un lato prevalentemente espressione di materiali inconsci collettivi e dall'altro indica che la situazione momentanea della coscienza non è tanto influenzata sul piano p ersonale, quanto piuttosto su quello collettivo . Tali immagini arcaiche vengono chiamate da Jung in un primo momento «immagini primordiali». L'«immagine primordiale» (Urbild)6 è un termine preso in prestito da J. Burckhardt, ma per Jung l'immagine (Bild) non è una riproduzione psichica dell'oggetto esterno, ma ha caratteri poetici: essa è una immagine fantastica, che si riferisce solo indirettamente alla percezione dell'oggetto, ma appare invece all'improvviso alla coscienza come una vi193

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