Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

fetto di scandalo; non gioca su una perversione ancora pittoresca, ancora sociale (sia pure negativa) della lingua di convenzione. Foutre non è più munito di potere denotativo - la sua frequenza parossistica l'ha spogliato di tale carattere, tanto è vero che può benissimo diventare pura interiezione, parola vuota. Come una corona di fuoco intorno a un corpo celeste invisibile, esso mantiene solo una forza connotativa. Ma connotativa come? Si potrà dire che ha a che fare con una violenta erotizzazione della lingua, la quale passa ben oltre ciò che, con singolare intensità, Sade chiama désir de foutre, desiderio di fottere. Termine ovvero sigla per cui, un bel momento, si sfora attraverso l'apparato verbale e figurale dei congiungimenti e dei delitti, a uno spazio ulteriore-l'insostenibile? - dove, per dirla ancora con Lacan, la sensibilità consueta «perd les pédales», ma dove è possibile incontrare (senza tragicizzazione indebita) le tracce del discorso di Thanatos. Il segno della parete Non a caso, nel corpo frammentato l'analisi dei testi di Sade rintraccia altri segni riferibili alla gestione dei due racconti citati. Solo un leggero diaframma, un velo fisiologico li separa in certi punti di massima contiguità. Entra in campo la cloison, il tramezzo divisorio, terzo elemento significante - tanto più significante in quanto lo esibisca uno dei passaggi più atroci, nel finale delle 120 journées de Sodarne: è l'immolazione di Augustine: «ficcano nella fica la mano armata di scalpello, con cui rompono la parete (cloison) che separa l'ano dalla vagina; si abbandona lo scalpello, s'infila di nuovo la mano e si va a frugare negli intestini etc...» 170

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