Il piccolo Hans - anno XIV - n. 55 - autunno 1987

documenti Nota introduttiva a: Qualche esperienza di psicoterapia focale Se, da un lato, introdursi nel luogo storico-teorico della psicoterapia analitica comporta, come sosteneva Sergio Finzi nel corso di un Seminario di qualche anno fa (1977), il doversi intrattenere con la «tentazione permanente della psicoanalisi», dall'altro lato a noi è parso che questo luogo, per tutto un versante almeno, sia il luogo degli «equivoci» per eccellenza; e ciò in quanto su questo terreno (oggi, in particolare, di battaglia e di conquista) il concetto di tecnica, ad esempio, da momento indisgiungibile della teoria, si trasforma spesso in quello di «operatività», di una sorta di «alchimia terapeutica» per la quale ciò che più conta è che qualcosa di diverso accada nelle abitudini di un paziente, purché in tempi brevi: col risultato che a dominare la teoria si pongono contemporaneamente il valore d'uso e quello di scambio di una data terapia; uso e scambio, nel migliore dei casi, mutuati dal «discorso» medico, tecnica terapeutica funzionale alla malattia piuttosto che al concetto di «sanità psichica»1 • «Tentazione» da un lato, dicevamo, luogo degli equivoci dall'altro; esemplare, a questo proposito, ci pare un certo uso delle citazioni, un gusto potremmo dire se non una moda, quale ci viene proposto nella prefazione alla edizione italiana di un volume dedicato alle Tecniche di psicoterapia breve2; nello scritto cui ci riferiamo l'Autore, dopo avere proposto al lettore una citazione di Freud tratta dall'esordio di Analisi terminabile e interminabile, del 1937 («L'esperienza ci ha insegnato che la terapia analitica... è un lavoro lungo e faticoso») ci dice: «Questa opinione di Freud rimane anche oggi determinante»; nel prosieguo 208

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